di Alessandra
La risposta è semplice in quanto è sufficiente volgere uno sguardo al passato.
Sino al primo dopoguerra quando vi era un’economia sussistenziale basata sulla ruralità, gli alvei fluviali erano ampi, spaziosi, considerati dalla gente dei luoghi come una risorsa. I fiumi, i laghi, i torrenti e i loro golenali erano per gli abitanti dei limitrofi, una fonte di vita e di sostentamento, le acque servivano per irrigare, erano ricche di pesci che la gente pescava per mangiare come pescava anche le rane. I gorreti e i boschi golenali erano una preziosa risorsa che forniva materiale per la realizzazione di vari oggetti: intrecciare ceste, costruire le famose zoccole dei contadini, legname da ardere e pietrame dei letti dei fiumi per edilizia, ecc.
Tutti erano a conoscenza che il letto del torrente, le sue anse, gli areali in cui scorreva, non dovevano essere modificati o alterati in quanto il fiume ha periodi di magra e di piena; durante le piene si estende nelle aree circostanti ove vi erano i gorreti e i cespugliati di salice e altra vegetazione igrofila molto flessibile che si piega sotto l’azione della corrente rallentandola e limitando i danni perchè le fitte radici affastellate dei boschi non permettevano alla corrente stessa di strappare e asportare il terreno. I pendii circostanti al fiume erano ricchi di boschi autoctoni che, oltre a dar origine a funghi e tartufi, infondevano stabilità ai terreni stessi prevendendo eventi franosi grazie alle loro radici.
Questi insegnamenti erano regole di esperienza che non venivano apprese a scuola ma tramandati nelle generazioni dagli adulti ai bambini, dal nonno al nipote e così via per secoli. Questo sino ad arrivare agli anni sessanta.
Negli anni sessanta avanzava il progresso, il boom economico, la produzione industriale su larga scala, la tv, la pubblicità mediatica. In nome della modernizzazione e della novità, tutto quello che era retaggio del passato per pregevole o modesto che fosse, andava rinnovato, abbattuto, distrutto.
In quegli anni, antichi borghi rurali ed edifici storici di rara bellezza furono rasi al suolo per far spazio a condomini e palazzoni costruiti a mo’ di alveare con progetti improvvisati e materiali economici e scadenti, i centri storici cittadini snaturati con la costruzione di ecomostri, la viabilità modificata con la realizzazione di arterie stradali, circonvallazioni e viadotti collocati nel paesaggio in modo talmente sgraziato da far inorridire il più becero dei residenti.
Imprese edili e speculatori assetati di danaro, da un giorno all’altro diventarono miliardari in quanto acquistavano vaste aree depresse da anziani contadini per pochi soldi, che magicamente venivano inserite, poco dopo, come zone edificabili nei piani regolatori comunali e il loro valore di mercato veniva improvvisamente accresciuto all’ennesima potenza. Anche le campagne subirono profonde modificazioni: le aree naturali e boschive considerate una pastoia per lo sviluppo economico, venivano utilizzate come discariche, i corsi d’acqua e i torrenti utilizzati da latrine in cui confluivano scarichi industriali, urbani, reflui zootecnici. I golenali dei fiumi dissodati, ristretti, livellati e al posto della macchia fluviale mais o pioppeti; nei pressi delle città gli argini venivano cementificati, i loro letti interrati in angusti canali sotterranei. La cementificazione selvaggia richiedeva sabbia e ghiaia quindi i fiumi scavati sino alle plance tufacee, incanalati, il loro letto violentato dagli scavi, il materiale litoide asportato oltre ogni misura. Vicino ai fiumi ettari di boschi venivano soppressi, intere quercete secolari abbattute per far spazio ai campi, ai capannoni e gli opifici industriali, l’agricoltura tradizionale considerata obsoleta poiché doveva essere incentivata la monocoltura con diffusione nell’ambiente di tonnellate di pesticidi e agrofarmaci; gli animali dovevano essere allevati in batteria senza spazio, la loro alimentazione naturale stravolta dall’utilizzo massiccio dei mangimi, la loro salute resa precaria e quindi sistematicamente somministrandogli farmaci veterinari, la produzione zootecnica aumentata ricorrendo agli estrogeni. Dalle campagne spariva la selvaggina, l’avifauna, le rane, i rospi, le lumache, le api, gli insetti benefici, proliferavano i parassiti, dosi sempre più invasive di agrofarmaci venivano utilizzate nelle colture e nei frutteti. Adesso, sembra che le cose non siano così cambiate, gli eventi calamitosi degli ultimi anni pare nulla ci abbiano insegnato.
Per il LungoTanaroStura in provincia di Cuneo che subiva la catastrofica alluvione dell’autunno 1994 è necessaria un’ulteriore riflessione: perché il disastro di quell’anno fu così tragico e ci furono oltre danni alle cose anche dei morti? La risposta è facile.
Partendo dal comune di Monchiero sino ad arrivare ai confini con la provincia di Asti effettuavano gli scempi più aberranti. File di autocarri carichi di ghiaia estratta ogni giorno dal litorale invadevano la statale 231 fino agli impianti di lavorazione; con la compiacenza dei Sindaci, delle Autorità di controllo e della dirigenza del MagisPo venivano realizzate escavazioni ovunque, le ditte ottenevano facilmente autorizzazioni che per legge non potevano essere concesse e quindi spaccavano tutto: la macchia fluviale sradicata, intere aree abbassate di parecchi metri per il prelievo degli inerti ghiaiosi, i riempimenti progettuali non rispettati, le distanze di centocinquanta metri dal piede di sponda previste dalle leggi di sicurezza idraulica impunemente ignorate sotto gli occhi di chiunque.
Si allestivano costantemente invasive cave mascherate da autorizzazioni per normali bonifiche agrarie su terreni boschivi endemici rivieraschi subito distrutti dagli scavi e al loro posto venivano creati ampi vasconi riempiti con rifiuti di ogni genere con camion nelle ore notturne e poi sopra ricoperti da strato di terra livellato su cui veniva permesso ai contadini di piantare pioppeti di ibrido per cartiera il cui accrescimento è rapido e le radici molto superficiali, piante a rischio caduta per il solo vento forte.
Tali attività molto lucrative per le imprese di escavazioni che ammodernavano continuamente il loro parco macchine con i mezzi d’opera più potenti e innovativi e avendo a disposizione questi ultimi, stravolgevano lo stato dei luoghi così rapidamente in due giorni. In un giorno il paesaggio era in un certo modo, il giorno dopo completamente modificato ed irriconoscibile.
Il Tanaro tracimava nell’autunno del 1994 invadendo senza freni i terreni calvi, riversando su di esse milioni di metri cubi d’acqua ad una velocità pari alle rapide del Fiume Colorado. Le acque nella loro rapida corsa spazzavano via tutto invadendo strade, campagne e le periferie di Alba, Asti ed Alessandria.
I pioppeti trascinati via dalle acque a migliaia: tronchi e radici accumulate dalla corrente contro i ponti causando l’effetto diga e l’occlusione faceva crollare i ponti, nei terreni più a valle si scatenava il finimondo in quanto l’onda crescente in massa e velocità trascinava con se ogni cosa, ogni persona ed ogni ostacolo fino al ponte successivo ove si ripeteva lo stesso fatto.
Si celebravano pretestuosi processi nei Tribunali locali per tacitare l’opinione pubblica: era necessario trovare un colpevole perchè i Sindaci locali, i funzionari del MagisPo, vari esponenti delle Autorità locali non dovevano essere toccati per scambio di voti politici e venivano dichiarati magicamente esenti da responsabilità.
Il “capro espiatorio” fu scelto, suo malgrado, nella persona del Dr Luigi Scialò, Prefetto di Cuneo protempore, uomo intelligente, affabile, scrupoloso nella sua funzione e rispettoso dei diritti dei cittadini, tuttavia era estraneo al territorio in quanto giunto da lontano appena due anni prima della catastrofe.
Il Dr. Scialò era la persona giusta da poter distruggere accollandogli ogni responsabilità poiché funzionario ministeriale di passaggio e i vari Organi locali che per anni avevano contribuito a creare il disastro con le loro sconsiderate autorizzazioni pubbliche avrebbero continuato a mantenere l’ipocrita immagine di zelanti burocrati al servizio della collettività e vicini al dolore dei familiari delle vittime. Il malcapitato Prefetto fu processato e ingiustamente condannato in quanto secondo la tesi requirente, in estrema sintesi, “non aveva allertato abbastanza gli organi di soccorso e non aveva adottato sufficienti misure preventive”. Però nessun Giudice si poneva il problema di approfondire il perché quei golenali del Tanaro erano stati così dissestati, anzi poco dopo l’alluvione, con la giustificazione del ripristino del territorio, la Regione Piemonte varò diversi Decreti con cui, di fatto, autorizzava le stesse ditte di escavazione a riscavare gli alvei fluviali, assegnava appalti di messa in sicurezza autorizzando nuove scogliere ad argine, nuovi incanalamenti, ossia nuovi dissesti idrogeologici futuri nonché nuovi cespiti di lucro mascherati dall’orpello del pubblico interesse.
Il povero Prefetto intanto si ammalava dal dispiacere per l’ingiustizia subita.
La tragicità di quella catastrofe non dissuadeva le Autorità competenti a ripetere gli stessi errori lucrativi, in quanto alla periferia di Alba ove le acque avevano tracimato, realizzavano un vasto centro commerciale con diversi magazzini di rivendita: Bennet, Arcaplanet, Decatlon, BricoOK, McDonald, Italgelatine, piantumavano pioppeti fin sulle rive del Tanaro senza tenere conto delle fasce fluviali di legge, i boschi nelle colline circostanti di nuovo abbattuti per far spazio ai noccioleti e ai vigneti, ai capannoni industriali e opifici; i terreni rivieraschi continuano ad essere dissodati per sfruttamento a fini economici e quali discariche dei residui delle lavorazioni industriali dei capannoni costruiti con autorizzazioni impeccabili nell’apparenza ma abusivi nella sostanza.
Associazioni di cittadini e persone che puntano il dito contro l’inerzia dei controlli, contro il dilagare di questi illeciti e sulla consuetudine incontrastata con cui continuano a ripetersi, vengono bollati dalle stesse cieche e sorde Autorità locali come fanatici, visionari, rompiscatole. Abusi speculativi ripetuti nei decenni a cui contribuiscono i cittadini pagando le maggiorazioni sulle imposte. Senza di essi le nostre Autorità statali e regionali come farebbero a distribuire fondi e contributi prelevati dal pubblico erario ai vari danneggiati che anni prima hanno ottenuto “per amicizia” le autorizzazioni a realizzare le loro abusive distruttive opere private in quelle zone? I nostri politici come farebbero a farsi propaganda elettorale promettendo soluzioni di ricostruzione e prevenzione per pubblico interesse? Come farebbero le associazioni agricole di categoria a sponsorizzare i loro esponenti politici e i loro “uomini di fiducia” ai vertici dei pubblici uffici se questi eventi non si verificassero? Come farebbero le Banche e gli istituti di credito a elargire finanziamenti previe iscrizioni di ipoteche su tutti i beni di chi vuole ricostruire cosa ha perso nelle sciagure calamitose in luoghi dove era proibito qualunque autorizzazione pubblica però concessa? Come farebbero le nostre Autorità a dar corso alle gare d’appalto per le assegnazioni dei vari progetti di ricostruzione delle opere pubbliche danneggiate? Come farebbero politici e funzionari pubblici a ricevere voti ed elargire favori privati seppure illeciti in cambio delle cariche elettive pubbliche? Quindi non lamentiamoci e taciamo per sempre. La vita è bella. Tanto alla prossima inondazione a chi tocca tocca. E noi paghiamo tasse, danni ambientali e di salute. Oggi è tutto diverso: di tale giro vorticoso di danaro beneficiano i privati compiacenti scambiando favoritismi e autorizzati contro le leggi dai pubblici funzionari e politici locali devastando l’ecosistema fluviale. I magistrati di Alba che insabbiavano tutto all’epoca nessuno li ha mai cacciati e scalfiti, sostituiti da intoccabili altrettanti figli e parenti già pluridenunciati, procedimenti archiviati dai loro colleghi.
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