Siamo tutti ucraini. No! Siamo vittime delle guerre

La propaganda ucraina ha le gambe corte un volto e un nome

La nonviolenza è una scelta di vita

di Maurizio Torti

Dall’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina Noam Chomsky è più volte intervenuto proponendo le sue analisi e la sua posizione. Alcuni analisti ed intellettuali hanno provato a contrastare i pensieri di Noam Chomsky e tra questi si è distinto un gruppo di accademici ucraini, attraverso la pubblicazione sul blog dell’Università di Berkeley di una lettera aperta in cui Noam Chomsky viene accusato di manipolare la sinistra occidentale europea ed in particolare quella italiana.

Le critiche sono declinate e argomentate in sette punti, in sintesi riportate in questo articolo.

1) negazione della sovranità ucraina;

2) considerare l’Ucraina una pedina americana per una strategia geopolitica favorevole agli USA;

3) affermare che la Russia è stata provocata dalla Nato;

4) gli Stati Uniti non sono poi così migliori della Russia

5) nascondere i veri obiettivi di Putin nella decisione di invadere l’Ucraina;

6) Sostenere che la Russia è interessata a una soluzione diplomatica;

7) Sostenere che lo scambio territori in cambio di pace possa evitare la guerra nucleare.

Oltre alla propaganda militare diffusa da Kiev, oramai se ne conoscono le origini e la metodologia, questa lettera ha dato il via ad una serie di articoli e riflessioni critiche di storici, intellettuali, anarchici e femministe ucraine. Un confronto maturato all’interno della rete di internet, su alcuni magazine senza alcun coinvolgimento della televisione, in modo particolare in Italia.

Lo storico ucraino Taras Bilous, in una sua pubblicazione dal titolo: “Lettera da Kyiv alla sinistra occidentale”, pubblicata dal sito OpenDemocracy, lettera tradotta in italiano dal sito Menelique critica la sinistra occidentale e antimperialista, accusandoli di sostenere i regimi autoritari. Nella lettera c’è un chiaro riferimento all’attivista britannico-siriana Leila Al-Shami, che nel 2018 scriveva di “antimperialismo degli idioti” per quella parte di sinistra occidentale favorevole a Assad in nome dell’antiamericanismo.

Con il tempo, la propaganda Usa è stata smascherata in Siria e oscurata dai fatti denunciati da molti giornalisti e testimoni.

La femminista Ucraina Tamara Zlobina, nel suo caso, pubblica su Facebook critiche gli appelli femministi pubblicati in Europa, in modo particolare le attiviste del movimento Non Una di Meno.

Scrive Zlobina: “tutti questi appelli suonavano come, siamo contro la guerra! La guerra è un male. È un gioco da uomini! Vogliamo la pace! Siamo contrarie a fornire armi all’Ucraina, perché le armi non farebbero altro che alimentare ancora di più il conflitto. Fermate la guerra ora”. Continua: “nessuna delle sorelle ha pensato di consultarsi con le femministe ucraine, quando ho scritto le dichiarazioni critiche delle ucraine, le loro voci sono state ignorate”.

Negli ultimi due mesi, le critiche degli ucraini si sono inasprite e lo si legge chiaramente negli scritti di Zosia Brom. Anarchica polacca, residente da anni nel Regno Unito e redattrice della rivista Freedom, storica pubblicazione anarchica. Sul sito della rivista, ha pubblicato un articolo dal titolo: “Westsplaining. Fanculo ai saputelli delle sinistre occidentali” (qui la traduzione italiana). Ecco un breve passaggio: “Sono passati decenni dal crollo del comunismo nella sua versione est-europea, sono decenni che la Russia è diventata un regime turbocapitalista di stampo autoritario, e voi state ancora lì a raccontare che l’uomo forte della situazione sarebbe una specie di eroe «antimperialista», benché stia facendo tutto, ma proprio tutto il possibile per realizzare l’obiettivo che ha enunciato: ricostruire l’impero russo, anzi, allargarlo. Nella vostra testa, invece, sono la NATO e le altre organizzazioni occidentali a stare sempre dalla parte sbagliata. Tutti i mali del mondo sono opera loro. Potreste farvi un giretto su google, ma no, per l’amor del cielo, perché disturbarsi quando uno può farsi imboccare da intellettuali come Noam Chomsky, con il suo vergognoso relativismo. […] Antifascismo è proteggere le persone da chi esercita un potere strutturale. E oggi è Putin a esercitarlo. Se appoggiate la sua egemonia su un impero vasto e sempre più vasto, se a forza di benaltrismo scadete nell’inazione, siete anche voi dalla parte dell’aggressore. Quindi imbracciate le armi, raccogliete fondi, ospitate profughi… ma a questo punto la cosa migliore sarebbe smettere di parlare. Scollegatevi dai social, andate a farvi un giro, lasciate questa guerra alla gente che sa davvero per che cosa combatte. Voi combattete per i like – è una cosa mortificante”.

Respingiamo al mittente, in questo caso Zosia Brom, i suoi suggerimenti – non sventoliamo nessuna bandiera, ne quella ucraina ne quella russa, non esiste alcuna prova evidente delle sue dichiarazioni in merito all’ampliamento della Russia, anzi questa è la contraddizione ucraina se un giorno affermano dell’incapacità della Russia di controllare il Donbass per poi denunciare la forza della Russia per il suo allargamento. La Nato doveva essere eliminata alla fine della guerra fredda ma è stata trasformata in una organizzazione militare guidata dagli Usa.

Leggendo tutto l’articolo di Zosia Brom diviene comprensibile il silenzio, come indicato dalla stessa Zosia, delle attiviste del movimento “Non una di meno”, gli argomenti sono utili solo a polarizzare l’eventuale confronto politico, i temi proposti da Zosia sono una visione esclusivamente anti-comunista, anti-russa, lontana dalla realtà e di quanto sta accadendo al mondo.

Il fuoco incrociato di critiche si concentra verso l’Europa e in modo particolare in Italia, tanto da essere incluso e riconosciuto con il termine Westsplaining in cui si concentra la critica sociopolitica del mondo occidentale, dell’Europa centrale e orientale e alle sue relazioni storiche e attuali prima con l’Unione Sovietica poi con la Russia. La parola è diventata popolare proprio negli ultimi mesi.

Il significato attribuito dagli ucraini a questa parola è suggerito da Jan Smoleński e Jan Dutkiewicz su come gli europei e non solo, impongono il loro schema analitico e le loro analisi politiche ai cittadini dell’Europa orientale. Da interviste anonime, ad attivisti anarchici ucraini si legge: “la difficoltà dei militanti di sinistra occidentali a concepire il totalitarismo sovietico come esperienza vissuta, e quindi fuori da ogni meccanismo di proiezione simbolica”. Ancora: “come se fossimo dei bambini che non capiscono le cose. Le persone nell’Europa dell’Est sono una massa priva di iniziativa, possono solo essere pedine dei grandi imperi – sai, non facciamo davvero le cose da soli, ma solo quando la CIA ci dice di farle”.

Ulteriori e durissime critiche si abbattono in Italia lanciate da Jaroslava Barbieri, ricercatrice italo-ucraina, impegnata nell’analisi e il coinvolgimento di attori statali (e non) della Russia nelle autoproclamate repubbliche dell’Ucraina orientale. La tesi di Barbieri è semplice, l’invasione russa dell’Ucraina segna il fallimento del tentativo di indebolire dall’interno l’ordine costituzionale dell’Ucraina.

Oltre al ruolo di ricercatrice, Barbieri collabora con l’Università di Birmingham e afferma: “le mie analisi hanno alla base un principio importante, la politica è un’area di studio, non di militanza. In Italia è diverso, negli ambienti di sinistra viene ripetuta la propaganda di Mosca, perciò senti dire che l’Ucraina è uno Stato autoritario che punisce le forze di opposizione. E queste persone non comprendono la natura dell’opposizione in Ucraina: si tratta essenzialmente di persone finanziate dal Cremlino e che promuovono messaggi, programmi politici e agende che mirano a minare l’ordine costituzionale dell’Ucraina dall’interno. Magari parlano dell’invasione americana di Russia e Iraq, ma non senti mai parlare dell’invasione russa dell’Afghanistan, o della Cecenia, non menzionano mai il coinvolgimento della Russia in Siria, e su bombardamenti e le armi chimiche chiudono un occhio”.

I temi e gli elementi di analisi proposti in contrasto delle tesi di Noam Chomsky e all’opinione pubblica italiana è il famoso decalogo imposto dai media italiani agli esperti ed analisti invitati nei programmi di intrattenimento sintetizzato nei seguenti punti:

La Russia è l’aggressore. È necessario fornire le armi all’Ucraina. La Russia deve ritirarsi sulle posizioni prima del 2014. Occorrono maggiori sanzioni contro la Russia. Putin è un criminale di guerra.

Da tutti questi articoli, riflessioni, critiche degli intellettuali ucraini, ora conosciamo le origini e gli autori delle tesi ucraine ripetute a pappagallo dalle forze politiche italiane al governo e diffuse dell’esercito di giornalisti inclusi in un sistema mediatico “monocorde”. La spudoratezza di Jaroslava Barbieri non ha limiti e segnala a beneficio dei media italiani ed europei una lista di esperti consultabili su Russia e Ucraina, e aggiunge: “Grazie anche al fatto che il Regno Unito ha una validissima comunità di studiosi di quell’area”.

Continua, “In Italia vedo sempre più queste figure che di colpo sono diventate punti di riferimento nel commentare l’Ucraina, e non hanno mai studiato nulla della regione, non hanno competenze al riguardo. Ed è degradante come a volte invitino questi cosiddetti ‘giornalisti’ russi, che di base sono rappresentanti della macchina di propaganda del Cremlino, e venga offerta loro una piattaforma per dare l’impressione di un giornalismo obiettivo. E non c’è mai un giornalista ucraino, oppure viene invitato ma si trova in questa farsa dove da una parte si chiede l’interpretazione ucraina dei fatti e poi quella razionale, come se la verità fosse da qualche parte a metà strada”. Jaroslava Barbieri continua la sua litania lamentosa precisando sulla mancanza di solidarietà, perchè non vengono mai diffusi i rimandi utili alle donazioni, come per esempio la pagina ufficiale creata dal governo ucraino per la comunità internazionale, United 24, dove è possibile scegliere l’area verso cui destinare le donazioni.

Le parole e i temi di Jaroslava Barbieri rispecchiano perfettamente i contenuti della propaganda ucraina.

Non è un caso della tempistica scelta per diffondere queste analisi e critiche ad una sinistra italiana ed europea non meglio precisata dagli intellettuali ucraini e in maggioranza tutti residenti all’estero almeno dal 2014, fuggiti in altri Stati per evitare una sicura chiamata alle armi e partecipare alla guerra civile contro i cittadini ucraini di lingua russa residente nel Donbass.

Negli ultimi due mesi, probabilmente in Inghilterra hanno elaborato una lettura inesatta di quanto accadeva nel governo italiano, sempre favorevole all’invio delle armi in Ucraina e mai messo in discussione seriamente dalle forze politiche, condizionate anche da una inesistente opposizione al governo ma questa è la decisione dagli scanni del Parlamento e dal Senato ma non dell’opinione pubblica italiana. Nella vita reale, criticata dagli intellettuali ucraini, le voci e le posizioni sono assolutamente diverse.

I cittadini italiani già dal primo giorno del conflitto hanno mostrato contrarietà all’invio delle armi in Ucraina assumendo posizioni molto chiare e senza portare ne la bandiera della Russia e ne la bandiera dell’Ucraina. Non sono comprensibili e ne accettabili le critiche degli intellettuali ucraini, anzi, sono contraddittorie dato che sostengono di essere capaci di agire da soli e nello sesso tempo ci suggeriscono di non interessarci di quanto succede in Ucraina ma chiedono armi e soldi continuamente, quindi dobbiamo interessarci oppure no? Possiamo chiedere al nostro governo come pensa di continuare, per quanto tempo e dove vanno queste armi? E se stiamo armando i nazisti ucraini o bande di criminali non coordinate?

Il senso della parola “Westsplaining” è tutto nelle parole contraddittorie di Jaroslava Barbieri, gli intellettuali ucraini accusano gli occidentali di essere “patriarcali” e di non avere alcuna considerazione delle capacità dei popoli dell’est, in particolare di quelli che hanno subito il comunismo. Non vogliono ascoltare e quindi alimentare un confronto politico sul conflitto in atto ma continuano a chiedere solidarietà, soldi ed armamenti.

Altro fattore molto importante completamente ignorato dagli intellettuali ucraini è l’esistenza di milioni di voci che raccontano tutti i giorni gli avvenimenti della guerra e non è proprio accettabile una lista di “esperti suggeriti”, noi ci battiamo e difendiamo l’art. 21 della Costituzione Italiana. La crisi di sistema è soprattutto dell’informazione, oggi qualsiasi forma di propaganda ha le gambe corte e questo conflitto non è esclusiva dei media controllati dagli Stati, l’editoria e la stampa indipendente a livello globale, da  qualche anno sono una realtà forte e capace di confrontarsi con le grandi agenzie statali e le multinazionali digitali. Questa è la realtà dei fatti, oggi i cittadini hanno gli strumenti e sanno come e dove informarsi.

“Siamo tutti ucraini” è il lietmotiv della propaganda dei comunicatori inglesi e americani, sfruttando l’emotività dei cittadini attraverso l’appello alla solidarietà all’aggredito, escludendo in ogni occasione e luogo di confronto, la parola pace e negoziati. “No! non siamo tutti ucraini, siamo tutti vittime delle guerre”. Le critiche degli intellettuali ucraini ignorano, oppure non vogliono accettare il risultato di anni di egemonia degli USA, oramai insostenibile dato il fallimento di un sistema unipolare che ha scelto l’unica via possibile di “resistere” e di sconfiggere in guerra chi rivendica un ruolo in un nuovo sistema multipolare.

A quale sinistra italiana ed occidentale si rivolgono gli intellettuali ucraini? Ai tanti attivisti, corsi in soccorso della popolazione ucraina per portare in salvo chi non aveva i soldi per il viaggio, terrorizzato dal dover essere arruolato per morire in una trincea ucraina? A quale attivismo italiano gli intellettuali ucraini rivolgono le loro critiche, non condivisibili? Forse ai milioni di italiani contrari alla guerra come indicato dall’art. 11 della Costituzione italiana?

Purtroppo alcuni italiani hanno abboccato alla campagna “Siamo tutti ucraini” è il caso dell’iniziativa del MEAN, “Movimento Europeo di Azione nonviolenta” in queste ore in viaggio, circa un centinaio di cittadini italiani, verso la capitale Kiev con l’obiettivo di portare un messaggio di pace e salvare altri ucraini privi di sostegno economico, per affrontare il lungo viaggio verso Stati più sicuri.

L’Iniziativa negli ultimi giorni ha raccolto pareri favorevoli da parte di alcuni politici appartenenti, in maggioranza al PD e + Europa, distintisi in questi mesi, perché favorevoli all’invio delle armi e armare i battaglioni neonazisti ucraini e alla persecuzione dei cittadini russi, inclusi quelli residenti in Italia e in Europa.

Per gli aderenti al Mean, è giusto riconoscere la volontà propositiva ma la nonviolenza è uno strumento politico e non si possono commettere errori alla base e la responsabilità è dei promotori dell’iniziativa, consapevoli della incompletezza del messaggio di pace da consegnare solo ai cittadini ucraini come ribadito dalle dichiarazioni in articoli e diffusi dalla stampa “monocorde”. Link qui.

Nell’agire del Movimento Europeo di Azione nonviolenta non c’è un messaggio di pace, perché non c’è stata alcuna attività, alcun segnale rivolto alla popolazione ucraina di lingua russa residente nella regione del Donbass. La prima azione nonviolenta in un conflitto, in questo caso tra Russia e Ucraina è almeno consegnare un messaggio di pace a entrambi i belligeranti, magari espresso in una lettera da consegnare a mano. Non c’è altro metodo per l’azione nonviolenta, non esiste metodologia creativa o alternativa, ecco perché il rischio di strumentalizzazione di questa iniziativa dal carattere umanitario è elevatissimo.

Strumentalizzazione condizionata dalla incapacità anche nel caso dovesse essere necessario dire no alle condizioni imposte da uno dei belligeranti, in questo caso Kiev, chiaramente sono escluse tutte le precauzioni in merito alla sicurezza degli attivisti presenti nel territorio del conflitto. La nonviolenza non solo è uno strumento politico ma è una scelta di vita e non inprovvisata, la si acquisisce con l’esperienza, lo studio e la si legge nei comportamenti degli attivisti.

Le prime immagini trasmesse dalla pagina facebook del Mean non lasciano alcun dubbio. A pochi kilometri da Kiev, in lingua ucraina, tradotto in italiano interviene Ihor Torskyy di Act For Ukraine, “in questo momento non è sufficiente una richiesta di pace unilaterale”. Questo cittadino ucraino è consapevole dell’azione monca del Mean? No! Non è così, “non può essere unilaterale,” aggiunge e chiarisce”, “perché è necessario sostenere la resistenza armata ucraina”. Continua, l’Ucraina ha dimostrato più volte di applicare la nonviolenza come nel caso della Crimea, per cui abbiamo scelto di non reagire”. Le parole di Ihor Torskyy non si possono commentare.

Giunti a Kiev dall’albergo il messaggio dal Mean è terrificante, attivisti nonviolenti, consapevoli e maturi, non intonerebbero mai canzoni nazionaliste di uno dei due belligeranti, addirittura incitati dagli stessi promotori dell’iniziativa. Era meglio ascoltare da parte degli attivisti del Mean una preghiera, un Ave e Maria, piuttosto che i canti nazionalisti di uno dei belligeranti, in questo caso ucraini.

Un unico momento reale di nonviolenza c’è stato quando è intervenuto Yurii Sheliazhenko, attivista nonviolento ucraino che ha denunciato le attività di repressione da parte del governo di Kiev nei confronti dei cittadini ucraini che si rifiutano di partecipare alla guerra, appellandosi all’obiezione di coscienza, accusati e puniti come dei criminali, purtroppo in Ucraina non esiste questo diritto. La presenza sulla pagina facebook di Yurii Sheliazhenko è stata spenta da una non comprensibile fretta, “come dettata dai tempi della tv” ma in questo caso si trattava di una diretta da facebook ed era interessante ascoltare le riflessioni di un attivista nonviolento ucraino. Domani gli attivisti del Mean andranno in un luogo della città di Kiev, non si conosce il dettaglio, perché ritenuto segreto per volontà delle stesse autorità di Kiev.

E ora cosa scriveranno gli intellettuali ucraini quando apprenderanno dagli attivisti partecipanti al MEAN in merito alla loro volontà di consegnare il tema del disarmo, del rifiuto della guerra, della pace, dell’Europa e dei “Corpi Europei di Pace” agli ucraini? Continueranno a criticare, nella cornice della parola Westsplaining, le opinioni di tutti gli analisti europei e italiani contrari alla propaganda anglosassone?

Siamo tutti ucraini? No!. Siamo vittime delle guerre

 

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