La controversia immobiliare

La narrazione israeliana e mediatica che riscrive l’occupazione

Foto AP

di Belén Fernández

Benjamin Netanyahu non è riuscito a fare un governo nel tempo che gli era stato concesso e che è scaduto nei giorni scorsi, per Israele c’è il rischio di andare per la quinta volta al voto senza riuscire a darsi una maggioranza politica. Puntuali, dunque, durante la notte scorsa, quella di martedì 11 maggio, le bombe sono cadute su Gaza, come si vede nella foto. La scintilla delle nuove “tensioni”, nei giorni scorsi, però, si era accesa nel quartiere di Gerusalemme Est di Sheikh Jarrah, dove la pulizia etnica israeliana ha deciso che questo è il momento propizio per farla finita con i 28mila palestinesi che vivono in case su cui pendono ordini di demolizioni. Racconta Belén Fernández su Middle East Eye: il vice sindaco di Gerusalemme, Aryeh King – lo stesso che è stato ripreso in video mentre esprimeva costernazione per il fatto che un certo attivista palestinese non fosse stato colpito alla testa – ha partorito il seguente ragionamento: “Se sei il padrone della proprietà e qualcuno la occupa, non hai forse il ​​diritto di buttarlo fuori dalla tua proprietà?”. Il rovesciamento delle parti in commedia sembra incredibile ma, quando si parla della questione israelo-palestinese, i politici israeliani e i media che ne veicolano i messaggi compiono dei veri e propri capolavori di manipolazione della realtà. Gli “scontri” e le “zuffe” imperversano, come si trattasse di litigi da condominio. La palma d’oro, in questi giorni, spetta certamente al New York Times, che il 7 maggio racconta gli “scontri con i manifestanti palestinesi” rilevando che “il ministero degli Esteri israeliano ha detto che l’Autorità palestinese e i terroristi palestinesi stanno ‘presentando una controversia immobiliare tra privati ​​come causa nazionalistica per incitare alla violenza a Gerusalemme‘”

Immaginiamo alcuni reportage creativi in ​​tempo di guerra: “Il 26 aprile 1937, gli abitanti della città basca di Guernica “si sono scontrati” con aerei da guerra tedeschi che lanciavano esplosivi ad alto potenziale e bombe incendiarie. Nel corso della ‘zuffa’, la città è stata polverizzata, e oltre 1600 persone sono morte”.

Ovviamente, le righe di cui sopra non sarebbero mai state scritte da una persona sana di mente, poiché la natura della relazione di potere tra i corpi umani da un lato e le mostruosità aeree che vomitano bombe dall’altro,  è abbastanza chiara.

Tuttavia, quando si tratta della questione israelo-palestinese – esso stesso un eufemismo per la guerra eterna di Israele contro i palestinesi – i media occidentali non perdono mai l’occasione di definire la brutalità israeliana palesemente unilaterale come “scontri” e “zuffe”.

Prendiamo, ad esempio, la Grande Marcia del Ritorno, le manifestazioni assolutamente pacifiche iniziate nella Striscia di Gaza nel marzo 2018. Secondo le Nazioni Unite, nel contesto della Grande Marcia l’esercito israeliano ha ucciso 214 palestinesi, di cui 46 bambini, e ferito più di 36.100 persone. “Nello stesso periodo”, al contrario, “un soldato israeliano è stato ucciso e altri sette feriti”.

I media, riguardo allo stesso  evento, non hanno dubbi: ci sono stati “scontri”.

Vocabolario preferito

Ora, le operazioni di pulizia etnica di Israele nella Gerusalemme est occupata hanno fornito agli organi di stampa un’altra opportunità di utilizzare il loro vocabolario preferito, nella misura in cui possono essere oltretutto annoiati nel dover riferire sugli eventi.

Quaranta palestinesi, tra cui dieci bambini, devono attualmente affrontare lo sfratto dalle loro case nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est per far posto ad altri coloni di destra in arrivo – l’ultimo round di una decennale campagna israeliana di trasferimento forzato di famiglie di rifugiati palestinesi dal 1948.

Come se l’ingiustizia non fosse già abbastanza epica, la polizia israeliana ha risposto ai manifestanti di Sheikh Jarrah, tra l’altro, caricandoli a cavallo e inondando l’area con gas lacrimogeni e acqua puzzolente – una deliziosa invenzione israeliana che è stata descritta come ”la peggiore  miscela di escrementi, gas nocivi e un asino in decomposizione “.

Inoltre, le forze di occupazione  israeliane hanno aggredito i fedeli palestinesi alla moschea di Al-Aqsa, sparando proiettili di metallo rivestiti di gomma e granate assordanti e ferendone centinaia.

Ma per i media,  il tutto è la “zuffa” di un giorno. Ci sono stati “zuffe” e “scontri” a bizzeffe sul Washington Post, sul sito web di ABC News, sul Guardian, su Fox News e di nuovo sul Post.

La BBC, da parte sua, ha tenuto diligentemente aggiornato il suo pubblico su “scontri” e “zuffe” – pur insistendo sul fatto che, sparando granate assordanti e simili, la polizia israeliana ha semplicemente agito “in risposta” alle provocazioni palestinesi (proprio come Israele agisce sempre “in risposta” quando, per esempio, massacra migliaia di persone a Gaza).

Nel frattempo, un articolo del New York Times pubblicato il 7 maggio sugli “scontri con i manifestanti palestinesi” della polizia israeliana ha osservato che “il ministero degli Esteri israeliano ha detto che l’Autorità palestinese e i terroristi palestinesi stanno ‘presentando una controversia immobiliare tra privati ​​come causa nazionalistica per incitare alla violenza a Gerusalemme ‘”.

In realtà, ovviamente, l’intero “conflitto” israelo-palestinese è Sheikh Jarrah a grandi linee: una “controversia immobiliare” in cui la parte che ha usurpato con la violenza  la maggior parte delle proprietà immobiliari palestinesi nel 1948 – e che continua ad occupare illegalmente il resto – deve considerare i palestinesi come terroristi per giustificare il fatto di terrorizzarli, ucciderli ed espellerli (scusate, “scontrarsi” con loro).

Ipocrisia e inganno

Fin dall’inizio, il successo dell’impresa israeliana si è basato su una politica di pulizia etnica, la stessa politica che si sta svolgendo ora a Sheikh Jarrah. Ma evidentemente non è compito del New York Times e di pubblicazioni affini collegare i punti storici e quindi fornire un quadro contestualizzato della sistematica espropriazione israeliana dei palestinesi (altro che “scontri” localizzati).

Inoltre, citando dichiarazioni palesemente ridicole del ministero degli Esteri israeliano senza chiarire che sono palesemente ridicole, il Times sta semplicemente contribuendo alla diffusione della narrativa israeliana e alla normalizzazione dell’occupazione.

Immaginate per un momento che, diciamo, il ministero degli Esteri del Guatemala rilasci una dichiarazione in cui afferma che il coronavirus è stato trasmesso da unicorni. Quindi immaginate di trovare questa dichiarazione riportata da un giornale  degli Stati Uniti senza  alcuna indicazione che la dichiarazione sia folle, – e avrete un’idea di cosa devono affrontare i palestinesi in termini di copertura mediatica globale.

Se i media fossero effettivamente preoccupati del rigore e del dire la verità al potere, il caso di Sheikh Jarrah smaschererebbe perfettamente l’ampiezza dell’ipocrisia e dell’inganno israeliano.

Parte della presunta “giustificazione” per lo sfratto di famiglie palestinesi che risiedono nel quartiere dagli anni ’50 è che, nel XIX secolo, due trust ebraici avrebbero acquistato una parte dell’area da proprietari terrieri arabi. E questo, dal punto di vista sionista, è tutto.

Il vice sindaco di Gerusalemme Aryeh King – lo stesso che è stato recentemente ripreso in video mentre esprimeva costernazione per il fatto che un certo attivista palestinese non fosse stato colpito alla testa – ha partorito il seguente ragionamento: “Se sei il padrone della proprietà e qualcuno la occupa, non hai forse il ​​diritto di buttarlo fuori dalla tua proprietà? ”

Analogia con George Floyd

È davvero un bella domanda – se si considerano le centinaia di migliaia di palestinesi espulsi dalle loro proprietà da Israele nel 1948, e i milioni di profughi palestinesi a cui attualmente è negato il ​​diritto al ritorno. In altre parole, ci sono un sacco di cose da segnalare oltre alla faccenda  dello “scontro” e della “rissa”, se solo la verità fosse vendibile.

Poi, naturalmente, ci sono gli interventi dei media che fanno sembrare la copertura mainstream occidentale relativamente sana in confronto, come quello recente sul quotidiano Israel Hayom di Caroline B Glick, che ci porta al di là degli “scontri” e delle “zuffe” in “una polveriera, per gentile concessione di Washington ”.

La questione, secondo Glick, è che non solo il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e i Democratici danno potere ai terroristi in tutto il Medio Oriente, ma che c’è un “attacco coordinato palestinese-occidentale contro il controllo israeliano su Gerusalemme”.

Inoltre, gli attivisti palestinesi hanno commesso l’atto diabolico di aggiungere sottotitoli in inglese a un video della polizia israeliana a Sheikh Jarrah che inchioda a terra un palestinese mentre dice: “Mi stai soffocando”. Sbraita Glick: “Lo scopo del video è ovvio: i palestinesi cercano di tracciare una linea diretta tra l’uccisione da parte della polizia di George Floyd a Minneapolis e le forze dell’ordine israeliane a Gerusalemme. E funziona.

Il premio per il delitto numero uno quindi non va alla pulizia etnica di Israele, alle raffiche di proiettili di gomma o al soffocamento indotto dalla polizia, ma piuttosto ai sottotitoli – sì, avete indovinato. E poiché il filo diretto tra gli epicentri di oppressione statunitensi e israeliani non mostra segni di allentamento, un media che non aderisse a quella linea sarebbe sicuramente utile.

Fonte in inglese: Middle East Eye Traduzione Grazia Parolari

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