Mercati aperti e deflussi di capitale: alcune precisazioni

Dobbiamo preoccuparci se i capitali esteri cessano di affluire in Italia?

Skyline of Shanghai Pudong at sunset

di Marco Cattaneo

Alcuni economisti mainstream, di orientamento progressista e in parecchi casi, tra l’altro, favorevoli al progetto CCF / Moneta Fiscale, sono nondimeno in disaccordo con la mia tesi che uno Stato (per le ragioni illustrate qui) debba tipicamente trovarsi in situazione di deficit: detto altrimenti, debba mediamente spendere più di quanto incassa.

La loro posizione è che deficit prolungati nel tempo sono per definizione insostenibili. Sono transitoriamente necessari per superare fasi di difficoltà, ma poi è necessario riportate i conti pubblici in pareggio (qualcuno arriva addirittura a dire che si debbano produrre surplus per compensare i deficit precedenti).

In questo post sviluppo ulteriori argomentazioni a sostegno del mio punto di vista.

Sono obiettivi da perseguire, per un’economia nazionale, una crescita del PIL in linea con il potenziale (evitando sottoccupazione delle risorse produttive), moderati livelli di inflazione, e saldi commerciali esteri in pareggio (salvo essere in grado di finanziare i deficit esteri con moneta propria, cosa che è vera per alcuni paesi – gli USA in primo luogo – ma non per tutti).

In queste condizioni, il deficit pubblico si traduce automaticamente in risparmio finanziario privato interno. Saldi esteri in pareggio implicano che l’economia non ha necessità di attirare capitali esteri. Di conseguenza, gli investimenti produttivi possono essere finanziati da mezzi reperibili all’interno del paese.

Ciononostante, in presenza di mercati finanziari aperti e integrati, è possibile (sostengono gli economisti mainstream sopra citati) che gli operatori finanziari si “disamorino” del paese. Lo considerino inaffidabile, non attraente, perdano fiducia. A ragione o magari anche a torto.

È un problema ? dobbiamo preoccuparci se i capitali esteri cessano di affluire ? ma abbiamo appena visto che non sono necessari a un paese con saldi commerciali in equilibrio.

E se i capitali finanziari INTERNI fuggono all’estero ? ma questo implica che i residenti accumulino risparmio netto fuori dal proprio paese, il che richiede una variazione positiva della NIIP (Net International Investment Position). A sua volta, la NIIP si incrementa in presenza di saldi commerciali esteri positivi: il risparmio finanziario allocato all’estero cresce se le esportazioni eccedono le importazioni.

In effetti è più che probabile che questo accada in regime di cambi flessibili, perché la fuoriuscita di capitali tende a deprezzare il cambio – il che ha un effetto espansivo sul surplus commerciale e sul PIL.

Questo accelera la crescita ed attira capitali verso investimenti produttivi all’interno del paese. Il che tende a riequilibrare la situazione e a risolvere il (presunto) problema dei “capitali in fuga”.

Per supporre che questo non avvenga, occorre ipotizzare che un’economia in crescita, con poca inflazione e saldi esteri in pareggio, subendo uno shock positivo (spinta sulle esportazioni nette) non sia in grado di finanziare gli investimenti produttivi.

È, semplicemente, illogico e inverosimile.

Quando il deficit pubblico di un paese dotato della propria moneta diventa eccessivo ? quando genera eccesso d’inflazione e/o deficit commerciali elevati, persistenti NONCHÉ finanziati in moneta estera. Altrimenti il problema di sostenibilità non si pone, a prescindere dal livello numerico del deficit pubblico.

Un deficit pubblico pari (in media) a qualche punto percentuale è la normalità, non l’eccezione. Tanto è vero che nonostante NON tutti i deficit pubblici siano stati finanziati a debito (vari paesi li hanno, almeno parzialmente, monetizzati), TUTTI gli stati di un qualche rilievo economico HANNO ACCUMULATO DEBITO PUBBLICO.

Un’eccezione a quanto sopra si può verificare se, ad esempio, pretendo di bloccare il cambio all’infinito. In assenza di altri elementi compensativi, il ribilanciamento sopra descritto non si verifica e la fuoriuscita di capitali, che implica un incremento della NIIP e quindi saldi esteri positivi, richiede di comprimere la domanda interna, mandando l’economia in depressione. In altri termini, quanto è avvenuto in Italia dall’avvento dell’euroausterità (quindi dal 2011) in poi.

Ma l’origine del problema è aver eliminato l’ammortizzatore del cambio flessibile senza sostituirlo con qualcosa in grado di produrre risultati equivalenti (ad esempio l’abbassamento del cuneo fiscale, come previsto dal progetto CCF). Non di uno “sciopero degli investitori finanziari” che un’Italia dotata della propria moneta, in assenza di debito pubblico denominato in valuta straniera, avrebbe tranquillamente evitato.

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