di Sergio Bagnasco
Per la Corte Costituzionale la stabilità di governo è un “obiettivo di rilievo costituzionale”. Perché? Per rispondere è necessario analizzare il ragionamento sviluppato dai giudici delle leggi che si sono espressi su Porcellum e Italicum.
All’inizio degli anni novanta del secolo scorso è prevalsa nell’opinione pubblica l’idea che il voto dovesse essere non solo scelta dei rappresentanti ma anche scelta di un governo e di un programma politico. L’intenzione era dare stabilità al sistema politico affinché “il vincitore delle elezioni” potesse attuare il programma di governo che gli elettori avevano preferito. Così, il 18 aprile 1993 con il referendum sulla legge elettorale gli elettori imposero al Parlamento una svolta maggioritaria (al Senato).
Da allora siamo in viaggio verso una meta ignota.
Nel nostro sistema l’esecutivo deve avere la fiducia delle due camere, che per previsioni costituzionali hanno diversi elettorati e diversi metodi di assegnazione dei seggi; pertanto, la probabilità di avere maggioranze differenti tra le due camere o di non avere una maggioranza precostituita in una o entrambe le camere sono esiti che possiamo considerare inefficienti, ma pienamente conformi alla Costituzione e quindi eliminabili solo modificando la Costituzione. Inoltre, in un sistema in cui è sempre possibile in Parlamento formare una nuova maggioranza, è velleitario pensare che una legge elettorale possa produrre “il governo scelto dagli elettori” senza una profonda riforma costituzionale.
Spettava al Parlamento elaborare la svolta voluta dagli elettori per dare al Paese una legge elettorale e un sistema istituzionale tra loro coerenti. Purtroppo il Parlamento dal 1993 a oggi ha sempre fallito.
Dopo la stagione del Mattarellum (legge elettorale mista a prevalenza maggioritaria, approvata nel 1993), con cui abbiamo votato nel 1994, 1996 e 2001, con il risultato di avere in 12 anni 3 legislature, 8 esecutivi e 5 diversi Presidenti del Consiglio, il Parlamento, sempre alla ricerca della stabilità di governo, ha fatto ricorso a due strumenti: premio di maggioranza e ballottaggio.
Nel 2005 fu approvata una legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza, passata alla storia con un nomignolo poco edificante: “Porcellum”. Questa legge, in estrema sintesi, attribuiva al primo classificato il 55% dei seggi alla Camera, mentre al Senato il 55% dei seggi era assegnato al primo classificato in ciascuna Regione.
Il Porcellum arrivò al vaglio della Corte dopo una vicenda giudiziaria durata anni. In questa situazione era altissimo il rischio che la Corte assumesse una decisione politica, non nel senso spregevole di sentenza di parte deliberatamente assunta contro un’altra parte, ma nel senso di avvertire la portata dirompente di una decisione in un contesto politico in cui da anni i partiti si confrontavano improduttivamente.
D’altra parte la Corte aveva pubblicamente denunciato che il rapporto con il suo naturale interlocutore, vale a dire il potere legislativo, rappresentava un aspetto critico della propria attività. Infatti, erano stati ignorati dal legislatore tutti i moniti che la Corte sin dal 2008 (in particolare con le sentenze n. 15 e 16) aveva espresso sul Porcellum.
Con la sentenza n. 1/2014 la Corte costituzionale censurò importanti previsioni della legge elettorale, ma allo stesso tempo introdusse nel dibattito politico delle mine vaganti perché il ragionamento sviluppato dai giudici apparve in più punti non convincente.
Dopo la bocciatura del Porcellum, il Parlamento ha approvato – maggio 2015, legge n. 52 – la più incredibile legge elettorale della storia italiana: l’Italicum, una legge elettorale con premio, e nel caso ballottaggio, che trasformava la competizione per eleggere i rappresentanti del popolo in una competizione per decidere quale partito dovesse governare.
L’Italicum fu approvato e promulgato nonostante la Corte costituzionale avesse affermato che una ragionevole alterazione della rappresentanza è accettabile solo se favorisce la stabilità di governo e maggioranze omogenee tra le due camere.
Presupposto indispensabile dell’Italicum, che riguardava la sola Camera dei Deputati, era l’approvazione definitiva della revisione costituzionale Boschi-Renzi che rendeva il Senato a elezione indiretta escludendolo dal rapporto fiduciario con il governo. Riforma costituzionale approvata dal Parlamento ad aprile 2016 e respinta dagli elettori con referendum a dicembre 2016.
L’approvazione e la promulgazione di quella legge elettorale furono un autentico azzardo: qualora la riforma costituzionale non fosse stata definitivamente confermata entro il 30 giugno 2016, il sistema elettorale avrebbe alterato la rappresentatività del Parlamento senza produrre stabilità e governabilità, perché avremmo avuto “per la Camera, una legge fortemente maggioritaria e, per il Senato, una legge del tutto proporzionale” come affermò lo stesso presidente Mattarella a dicembre 2016. Peccato non abbia rilevato questa evidenza quando promulgò la legge.
La Corte Costituzionale nella sentenza n. 1/2014 sul Porcellum, dopo aver premesso che il premio è diretto “ad agevolare la formazione di una adeguata maggioranza parlamentare, allo scopo di garantire la stabilità del governo del Paese e di rendere più rapido il processo decisionale” spiega che “Il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza prefigurato dalle norme censurate, inserite nel sistema proporzionale introdotto con la legge n. 270 del 2005, in quanto combinato con l’assenza di una ragionevole soglia di voti minima per competere all’assegnazione del premio, è pertanto tale da determinare un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto (art. 48, secondo comma, Cost.). Esso, infatti, pur non vincolando il legislatore ordinario alla scelta di un determinato sistema, esige comunque che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi (sentenza n. 43 del 1961)”. E ancora “qualora il legislatore adotti il sistema proporzionale, anche solo in modo parziale, esso genera nell’elettore la legittima aspettativa che non si determini uno squilibrio sugli effetti del voto, e cioè una diseguale valutazione del “peso” del voto “in uscita”, ai fini dell’attribuzione dei seggi”. E conclude: “Le norme censurate, pur perseguendo un obiettivo di rilievo costituzionale, qual è quello della stabilità del governo del Paese e dell’efficienza dei processi decisionali nell’ambito parlamentare, dettano una disciplina che non rispetta il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti, ponendosi in contrasto con gli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost.”
In sintesi, nonostante i principi richiamati, è conforme alla Costituzione una legge elettorale proporzionale con premio, che altera in modo ragionevole la rappresentanza, per perseguire un obiettivo di rilievo costituzionale come la stabilità del governo.
Il “premio”, dunque, può rappresentare “il minor sacrificio possibile” degli altri interessi costituzionalmente protetti, anche se non si comprende come si possa valutare la misura di un sacrificio senza definire ciò che impone il sacrificio; in altre parole, senza definire quando il premio diventa irragionevole e quindi causa di un sacrificio inaccettabile.
Il ragionamento sviluppato dalla Corte si basa su avverbi e aggettivi che rendono tutto molto incerto. La Corte afferma che occorre fissare una soglia ragionevole di consensi affinché scatti il premio, ma non indica come si valuta questa ragionevolezza.
Con la sentenza n. 35/2017 sull’Italicum la Corte ha ritenuto ragionevole il premio previsto, ma cosa c’è di ragionevole in questo premio?
Chi ottiene il 40%+1 dei consensi ha un incremento di seggi pari al 37%, arrivando al 55% dei seggi, e chi riceve appena un voto in meno si ritrova a distanza siderale! Infatti, il secondo arrivato con il 40% dei consensi, ricalcolato sul restante 45% dei seggi, scende al 30% del totale dei seggi.
A questo punto, un premio come quello previsto dalla legge Acerbo del 1923, che fissava al 25% la soglia da superare, potrebbe essere ragionevole?
Il rischio concreto è che una soglia inferiore al 40% possa essere ritenuta ragionevole.
Passando ad altro punto centrale del ragionamento della Corte, cosa consente di desumere che la stabilità di governo sia un obiettivo di rilievo costituzionale, tale da legittimare l’alterazione della rappresentatività del parlamento, se nella Costituzione non troviamo nulla che favorisca la stabilità di governo?
La Costituzione nasce con due camere con durata differente (previsione abolita nel 1963), due diversi sistemi elettorali, due diversi corpi elettorali, due diversi sistemi di ripartizione dei seggi, due camere che devono dare la fiducia al governo. Tutti elementi che non favoriscono la stabilità di governo.
Inoltre, se non si definisce il concetto di stabilità di governo, tutto il ragionamento risulta astratto, evanescente …
La tesi della stabilità intesa come “obiettivo costituzionale” confligge con la volontà dei costituenti e persino con la volontà degli elettori che hanno nel 2006 respinto la riforma costituzionale in cui era prevista l’approvazione di una legge elettorale che favorisse la formazione di una maggioranza, rafforzando questa previsione con norme “anti ribaltone”.
Forse è più aderente alla realtà ritenere che i Costituenti volessero favorire il confronto tra parti contrapposte nella consapevolezza che ogni partito, nella migliore delle ipotesi, rappresenta interessi legittimi di parte e quindi solo il confronto tra le parti può favorire che prevalga l’interesse generale.
In base a quali elementi oggettivi la Corte reputa che il premio possa garantire la stabilità di governo se nulla a Costituzione invariata può garantire tale stabilità?
Che valore giuridico positivo ha la “rapidità del processo decisionale”? Rapidità non è sinonimo di qualità. Inoltre, va considerato che la rapidità del processo decisionale dipende dalla coesione politica della maggioranza e dal procedimento legislativo definito dalla Costituzione. Diversamente non si spiegherebbe perché il governo Berlusconi IV nonostante l’ampia maggioranza abbia fatto ricorso ben 36 volte al voto di fiducia in 42 mesi di governo.
Le premesse che la Corte pone alla base del proprio ragionamento appaiono, pertanto, immotivate e aprioristiche.
Occorre anche interrogarsi sull’idoneità del premio come strumento atto a perseguire l’obiettivo che la legge intende raggiungere, vale a dire la stabilità di governo. Perché per consolidata giurisprudenza costituzionale (vedasi Sentenza n. 14/1964 e Sentenza n. 43/1997) difetta la ragionevolezza “quando la legge manca il suo obiettivo e tradisce la sua ratio”. D’altra parte, è anche sulla base del principio di idoneità che la Corte Costituzionale ha bocciato il premio regionale che il Porcellum prevedeva al Senato.
Nella realtà, favorire la nascita di un governo non significa garantirne la stabilità perché una maggioranza può frantumarsi provocando la nascita di nuove maggioranze e nuovi governi, cosicché l’unica cosa che il premio garantisce è l’alterazione della rappresentatività del Parlamento.
Se per instabilità di governo s’intende la caducità degli esecutivi, allora nessuno può ignorare che l’Italia è caratterizzata da governi di coalizione in cui i partiti elettoralmente minori hanno un potere sproporzionato e spesso sono causa delle cadute dei governi, talvolta però i governi cadono o hanno vita tormentata per il conflitto tra le correnti interne al partito di maggioranza relativa. In questa situazione, non si risolve il problema dell’instabilità favorendo la formazione di coalizioni prima del voto: i partiti faranno dopo il voto ciò che hanno sempre fatto. E’ sul sistema costituzionale che bisogna intervenire per superare il limite intrinseco dei governi di coalizione, dove nulla conta se le coalizioni sono nate prima del voto o dopo.
Era prevedibile che trasformare con un premio una maggioranza relativa in maggioranza assoluta avrebbe prodotto coalizioni eterogenee per sottrarre all’avversario il privilegio di formare il governo.
Nel 2014, quando la Corte ha valutato il Porcellum, era osservabile che Il premio aveva prodotto maggioranze sempre implose. Dalle elezioni del 2006 nacque grazie al premio il governo di centrosinistra con Prodi presidente del consiglio; una maggioranza molto eterogenea che implose e nel 2008 si andò a elezioni anticipate che videro la forte affermazione del centrodestra che implose conducendo al governo Monti. Elezioni del 2013: il premio consente al centrosinistra di avere la maggioranza alla Camera, ma non al Senato; nasce una maggioranza tra avversari con addirittura nuove forze politiche mai votate dagli elettori.
Nel 2013, la coalizione di centrosinistra, “Italia Bene Comune”, si sfaldò e SEL, che ne faceva parte, passò all’opposizione, ma la sua consistenza parlamentare aveva avuto un gran beneficio dal premio.
Il premio ha sempre prodotto una profonda alterazione dei rapporti di forza tra le diverse componenti politiche in Parlamento, senza ottenere alcuna stabilità di governo.
Tutto ciò era noto alla Corte Costituzionale e i giudici dovrebbero tener conto della realtà che le leggi contribuiscono a determinare.
Il premio si era dimostrato inidoneo a conseguire l’obiettivo della governabilità e questa inidoneità dipendeva proprio dalla mancanza di corrispondenza tra come le forze politiche si presentano alle elezioni e come si collocano in Parlamento, dall’assetto costituzionale che rende sempre possibile la nascita di una maggioranza diversa rispetto a quella che il premio ha determinato. La Corte ha utilizzato il principio di idoneità per bocciare la modalità di attribuzione del premio al Senato, ma stranamente non l’ha utilizzato per valutare il premio in sé.
La Corte ha promosso anche il ballottaggio, pur bocciando quello previsto dall’Italicum.
Nella sentenza 35/2017, infatti, è stato bocciato il modo in cui era congegnato il ballottaggio perché non prevedeva che i due primi classificati avessero superato una soglia minima di consensi.
La Corte non ha offerto spunti per configurare diversamente il ballottaggio, ma l’aspetto singolare è che non è emersa la vera natura del ballottaggio: trasformare un sistema di governo parlamentare in un sistema a elezione diretta del partito cui affidare il governo.
Il ballottaggio potrebbe, quindi, in un prossimo futuro ripresentarsi.
L’Italicum avrebbe garantito con certezza matematica che dal voto uscisse un partito con una maggioranza assoluta, garanzia che manca persino in un sistema maggioritario puro.
In sostanza si applicava a livello nazionale il sistema per l’elezione del sindaco, evocando l’immagine del “sindaco d’Italia”.
Tutto questo nonostante la Corte, con sentenza n. 275/2014, avesse affermato che non va sovrapposta la normativa elettorale per il parlamento a quella per gli organi politico-amministrativi dei Comuni perché “La normativa statale riguarda l’elezione delle assemblee legislative nazionali, espressive al livello più elevato della sovranità popolare in una forma di governo parlamentare.” (Sentenza n. 275/2014)
In altri termini, mentre il sindaco è per legge eletto direttamente dai cittadini, il Governo nazionale è per Costituzione espressione del Parlamento.
Così, la Corte scrive di assemblea rappresentativa della sovranità popolare, di uguaglianza del voto, di governo parlamentare ma poi ammette il premio e il ballottaggio che contraddicono tutto ciò.
Questo argomentare poco convincente della Corte non aiuta ad avere certezze su quali siano i punti cardinali del nostro ordinamento costituzionale e suscita molti dubbi sull’efficacia stessa degli organismi di garanzia.
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