di Antonino Galloni
PREMESSA. Il sistema economico della cosiddetta Unione Europea non riesce più a produrre (imprese) o a ricevere (famiglie) abbastanza risorse per soddisfare i bisogni della gran parte della popolazione; gli Stati vengono trattati erroneamente come famiglie o imprese e, quindi, non esercitano quella sovranità che serve, nel campo delle attività necessarie e strategiche (sanità, istruzione, trasporti, ecc.), a rendere realizzabili quelle promesse che si fanno in periodi elettorali.
L’economia capitalistica sta funzionando unicamente in una percentuale minoritaria di casi: in cui è possibile evadere la tassazione media, sottopagare i lavoratori, soddisfare solo una componente minima dei consumatori utenti, ovvero scaricare su di essi i maggiori costi.
Nel passato, quando famiglie e imprese producevano e ricevevano abbastanza risorse da sperare in un futuro migliore, gli Stati indipendenti esercitavano sovranità monetaria ovvero immettevano nel sistema più mezzi di pagamento di quanto ricevevano dai contribuenti; ora, che ci sarebbe bisogno di più Stato dalla parte dei cittadini, si assiste al fenomeno opposto di poteri pubblici che contribuiscono ad aggravare l’impoverimento della popolazione.
SOLUZIONI. L’ attuale Unione Europea è destinata a collassare o a venir sostituita da una Confederazione di Stati Liberi che si rispettino reciprocamente e che riprendano un fondamentale principio del recente passato ormai disatteso da più di trent’anni: “l’Unione Europea non dovrà danneggiare l’economia di nessuno Stato” (come si sa l’economia più danneggiata è stata quella italiana proprio perché chi ci ha governato finora ha scelto di applicare i principi sbagliati delle varie Commissioni che si sono alternate al vertice dell’Europa stessa: concorrenza al ribasso sui salari, riduzione del Welfare, contenimento della domanda interna).
Il primo passo nella giusta direzione consiste nella possibilità che ciascuno Stato emetta ed immetta moneta parallela a sola circolazione nazionale in proporzione alle proprie esigenze di sviluppo: crescita interna, spesa sanitaria, scolastica e formativa, tutela dell’assetto idrogeologico, piano trasporti, contenimento della pressione fiscale a fronte del necessario aumento della spesa (reso possibile dalla contabilizzazione della nuova moneta non come passività ma come entrata, con l’opportunità, quindi, di mantenere il bilancio in equilibrio, sommando – da una parte – tutte le entrate e la emissione della moneta interna contro, dall’altra parte, tutte le spese).
In alternativa si può percorrere la strada dell’uscita dall’Unione oppure della trasformazione della BCE in una banca che fornisce moneta direttamente agli Stati (com’era in Italia fino al febbraio del 1981): si tratta di due soluzioni accettabili, ma non realistiche a breve termine.
Senza nessuna delle tre soluzioni prospettate (moneta parallela interna ai singoli Stati; uscita dall’Unione; trasformazione della BCE in “banca di ultima istanza”) qualsiasi promessa elettorale sarà disattesa, qualsiasi prospettiva futura riguarderà solo peggioramenti della situazione.
Una buona idea è quella di porre determinate spese (esempio sanità, trasporti, pubblica istruzione ecc) fuori dal bilancio che viene considerato in sede comunitaria; per ora una tale soluzione sembra riguardare solo le spese per armamenti e, quindi, il folle appoggio alle guerre).
Ma anche la proposta di mettere alcune spese fuori bilancio non risolve il problema dei problemi: l’aumento del debito maggiore di quello del reddito o pil nazionale.
IL RICATTO DEL DEBITO PUBBLICO. Premesso che il nostro debito pubblico è solo la metà del risparmio privato, un settimo del patrimonio dello Stato e un dodicesimo della ricchezza nazionale; il problema vero sta nella scarsa crescita del reddito o pil ovvero di una crescita inferiore alla spesa per interessi sul debito stesso (che arriva a non meno di 80 miliardi l’anno).
Secondo il Piano di Salvezza Nazionale che fu elaborato da alcuni economisti italiani meno di 4 anni fa e ancora presente sul web, è opportuno e necessario vendere i titoli pubblici agli Italiani, secondo un meccanismo che consenta una certa defiscalizzazione e la possibilità di rientrare tempestivamente – secondo le esigenze dei risparmiatori sottoscrittori – in possesso della liquidità.
Chi ci ha governato dopo gli anni ’80 ha voluto che fossimo sotto il ricatto delle agenzie di rating americane e dei signori della Commissione Europea: solo così si poteva giustificare agli elettori il tradimento delle promesse con le quali si erano ottenuti consenso e legittimazione.
Serve, invece, istituire una nostra agenzia di rating che operi razionalmente: è contrario ad ogni logica che la terza potenza mondiale quanto a diversificazione all’ export ovvero la prima per quanto riguarda la qualità di quasi tutti i prodotti agricoli e manifatturieri sia giudicata al livello di Paesi che presentano ben inferiori caratteristiche.
PASSARE DAL MADE IN ITALY AL 100% ITALIANO. Molti Paesi che invidiano le nostre qualità ed anche molti importatori nostrani mascherano tali prodotti al momento del confezionamento ovvero dell’ assemblaggio, etichettandoli alla fine col “made in Italy”.
Per questo, occorre agire a livello europeo e nazionale allo scopo di difendere le caratteristiche qualitative e tradizionali delle nostre produzioni e la loro diversità; ma anche ottenere il passaggio dalla dicitura “made in” a quella “all Italian” o, meglio, 100% italiano ovvero che sia chiaro che solo quest’ultima è garanzia della nostra qualità.
RISOLVERE IL PROBLEMA BANCARIO. Negli ultimi decenni, le politiche volute dalle grandi banche hanno penalizzato quelle di comunità o di prossimità: ciò ha sottratto alle piccole imprese di poter ottenere credito atto a finanziare il tempo che si frappone tra i loro pagamenti (1 mese per il lavoro, due per le utenze, tre-quattro per i fornitori, subito per le tasse) e le loro entrate effettive, in media 8 mesi tra la vendita e l’esecuzione dell’ ordine; per non parlare dei crediti a più lungo termine, derivanti da contenziosi anche giudiziari che, spesso, vedono morire chi risulterà, poi, vincitore nella lite, magari con il fisco. Ma le piccole banche territoriali dovrebbero essere pubbliche allo scopo di re-investire gli utili dove necessario e di fornire supporto al territorio stesso.
Va da sé che potrebbe anche trattarsi di un’unica banca di proprietà dello Stato – presente con filiali e sportelli su tutto il territorio nazionale – che servirebbe allo Stato stesso per regolare il tasso d’interesse e assorbire i suoi titoli (cosa già ammessa dalle regole in vigore nella UE); ma detta banca potrebbe anche ricevere la moneta dello Stato e, quindi, rivoluzionare il sistema. Per quest’ultimo aspetto occorre, prima, ricominciare ad esercitare la sovranità nazionale immettendo la moneta parallela non a debito; facoltà che è ammessa dalle attuali regole, ma che dovrebbe venire agganciata al criterio delle potenzialità di ciascun Paese; nel caso dell’Italia, si pensi alle nostre immense potenzialità umane, agricole, culturali, di recupero del patrimonio esistente anche in campo artistico, archeologico ed ambientale.
CONCLUSIONI. Solo introducendo moneta sovrana, statale, non a debito si può uscire vivi dall’attuale situazione: la battaglia sarà nazionale ma anche o soprattutto europea.
Queste elezioni possono rappresentare la necessità di portare, nelle istituzioni europee, la voce di coloro che rappresentano la maggior parte della popolazione opposta alla maggioranza di un elettorato, come sta accadendo da troppo tempo, sempre più distante dall’insieme degli aventi diritto al voto.
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