Insegnare, in-segnare: scrivere dentro … Mos Maiorum – Panem et Circenses

Depotenziare la scuola, come fucina di cultura, è un esercizio, nel quale i potenti della terra si stanno cimentando  dal oltre 30 anni.

E’ noto che la cultura rende LIBERI!

Il liberismo, la idiozia dell’uno vale uno, è cosa diffusa. Le liti con il congiuntivo, gli scritti che contengono enormi errori di grammatica e sintassi, sono un coacervo da infilare nella raccolta differenziata. Eppure si continua

Nella patria del latino,GiovanninoGuareschi sosteneva:

“Il latino è una lingua precisa, essenziale. Verrà abbandonata non perché inadeguata alle nuove esigenze del progresso, ma perché gli uomini nuovi non saranno più adeguati ad essa. Quando inizierà l’era dei demagoghi, dei ciarlatani, una lingua come quella latina non potrà più servire e qualsiasi cafone potrà impunemente tenere un discorso pubblico e parlare in modo tale da non essere cacciato a calci giù dalla tribuna. E il segreto consisterà nel fatto che egli, sfruttando un frasario approssimativo, elusivo e di gradevole effetto “sonoro” potrà parlare per un’ora senza dire niente. Cosa impossibile col latino.”

La nostra cultura, viene dalle nostre radici, nulla questio sul latino, ma c’è stato il rinascimento italiano e sino ai giorni nostri è stato tutto un fiorire nei campi della cultura arti e professioni, perché abiurare?

Sarò sempre a favore del, MOS MAIORUM

Con l’espressione mosmaiorum (letteralmente “il costume degli antenati”) i Romani indicavano quel complesso di valori e di tradizioni che costituiva il fondamento della loro cultura e della loro civiltà.

Ma come I ROMANI IMPARANO A SCRIVERE?

L’introduzione della scrittura a Roma è attribuita a Evandro, il mitico colonizzatore greco del Palatino. La scrittura sarebbe arrivata dal mondo greco nell’XI secolo a.C., quando in realtà essa stava ancora affermandosi in Oriente e in Grecia.

Il rapido sviluppo di Roma agisce da polo di attrazione per le genti dell’interno e anche per gli intraprendenti commercianti fenici e greci, i quali presso il guado del Tevere trovano il punto di scambio ideale. Questi mercanti, insieme agli oggetti da scambiare e da vendere, hanno portato anche idee, culti (come il culto di Ercole) e probabilmente l’alfabeto. Il ritrovamento delle più antiche lettere ellenizzanti su un vaso di una tomba della necropoli di Osteria dell’Osa, corrispondente all’antica Gabii, coincide in modo stupefacente con la tradizione. Secondo quanto si tramanda Romolo e Remo, educati a Gabii, avrebbero qui appreso la scrittura: Romolo, divenuto re, avrebbe ancora usato quest’alfabeto greco per iscrizioni che celebravano vittorie e definivano trattati. Nel VII secolo a.C. questo nuovo strumento, che si va sempre più adattando alla lingua latina, si diffonde in maniera più ampia, acquistando anche una dimensione pubblica. Documenti scritti cominciano a comparire con frequenza nei santuari, nei donari, negli spazi destinati alla vita della comunità.

Per gli appunti (e quindi soprattutto a scuola) i romani utilizzavano… un “tablet”, ma molto più difficile da usare: le tabulae, tavolette di legno ricoperte di cera. Per scrivere si incideva la superficie della cera con un bastoncino di legno appuntito chiamato stilus.

E per cancellare? Lo stilus all’altra estremità aveva una “gomma”: una spatolina con cui rispalmare la cera per coprire i solchi delle parole scritte per poterne così incidere di nuove. Quando la cera era troppo rovinata si stendeva un nuovo strato di cera e da qui viene l’espressione “fare tabula rasa”, ovvero “cancellare tutto”.

I Romani, così come i Greci, utilizzavano anche il papiro. La tecnica per trasformare questa pianta in fogli risale al 3000 a.C. ad opera degli antichi Egizi: lo stelo di papiro veniva tagliato in strisce e battuto su un piano fino a diventare un foglio. I fogli poi venivano incollati uno dopo l’altro per formare dei rotoli lunghi anche 20 metri che poi venivano arrotolati e per questo erano detti volumen (dal latino volvo, avvolgere): anche in italiano per indicare un libro si può dire “volume”.

La Pergamena, i libri “di lusso”

Un terzo supporto per la scrittura era la pergamena, poco usata perché molto costosa: si trattava di pelle di pecora lavorata e tagliata in fogli che si diffuse dal II secolo a.C. grazie alla città di Pergamo, in Asia Minore. Con la pergamena apparvero anche la rilegatura e i libri della forma che conosciamo ancora oggi. Rispetto al papiro, la pergamena era più resistente: poteva essere scritta su entrambi i lati e l’inchiostro si poteva cancellare più facilmente.

L’inchiostro dell’antichità.

Sulla pergamena e sul papiro si scriveva con il calamus, un bastoncino ottenuto da canne cave al cui interno scorreva l’inchiostro. L’inchiostro, contenuto in calamai detti atramentaria, era un panetto solido simile ai nostri acquarelli e doveva essere diluito con acqua per poter essere utilizzato; era nero o marrone molto scuro (da qui il nome atramentum) e composto da nero fumo, fuliggine ottenuta bruciando legna o altri combustibili come la pece. Per cancellare gli errori si usava una piccola spugna bagnata, chiamata spongiadeletilis.

E da allora come ad oggi, per obnubilare menti e coscienze, i Potenti di turno utilizzavano il notissimo

PANEM ET CIRCENSES, che di fatto funzionava benissimo già allora.

Ma cosa è esattamente? La risposta puo’ essere sintetizzata nelle parole di giovenale, un autore satirico che scriveva e criticava il suo tempo, fatto di politici che arrivavano e mantenevano il potere tramite regali e la concessione di svaghi a coloro che venivano governati:

…duastantum res anxiusoptatpanem et circenses

…il popolo due sole cose ansiosamente desidera pane e i giochi circensi

Soddisfano in questo modo, i capricci dei loro cittadini, i potenti di Roma, e di fatto costruirono e governarono l’impero, letteralmente controllando le masse.

Non bastava, infatti, assicurare il soddisfacimento dei bisogni primari dei cittadini (soprattutto tramite la distribuzione di frumento ad un prezzo molto inferiore al suo valore, se non gratuitamente), per tenerne a bada le reazioni e i malumori del popolo.

Panem et circensese’, dunque, la formula applicata dai romani per costruire e governare l’impero, per esercitare il controllo sulle masse: da un lato si faceva in modo che il frumento (il bene per eccellenza, da cui si ricava il pane) fosse accessibile ai cittadini romani, dall’altro venivano offerti alla cittadinanza dei servizi di utilita’ pubblica (ad esempio le terme) o di divertimento (combattimenti tra uomini, bestie feroci, avvenimenti sportivi e spettacoli teatrali)

Tali spettacoli erano delle vere armi che i politici avevano a disposizione per controllare e sedare le rivendicazioni del popolo.

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