Andrà infine come andrà. Ma noi almeno abbiamo visto. Abbiamo visto una fabbrica autogestirsi per mesi. E se avessimo avuto la produzione, avremmo potuto autogestire anche quella.
Abbiamo visto che le gerarchie esistenti non rispondevano in verità ad alcuna funzionalità, se non quella del “dividi e comanda”. Abbiamo dichiarato inutili tali gerarchie non dal punto di vista dei nostri ideali, ma anche alla luce dei loro stessi presunti obiettivi: dinamismo, efficienza, produttività ecc.
E abbiamo visto, liberati da questi vincoli, i rapporti tra le persone migliorare, farsi più vivi, in una sola parola: farsi più umani.
Abbiamo visto la fabbrica produrre fino alle 6 di mattina di un venerdì di luglio. La abbiamo vista provare a rosicchiare ogni secondo del nostro tempo, delle nostre pause, del nostro riposo. E di colpo l’abbiamo vista fermarsi, immobile, maestosa. Ed è calato un silenzio e un sordo ronzio che sembrava dirti: rifletti attentamente su come vuoi impegnare questo tempo, questa tua vita, che cosa vuoi produrre e per chi.
Abbiamo visto quanto la lotta dipenda anche dalla persona che sei e come lottando definisci la persona che sei. Abbiamo visto che quando si lotta appiccicati, ognuno deve prendersi cura dell’altro. E come la cura reciproca sia elemento imprescindibile del provare a stare tutti i giorni in piedi, tutti i giorni uniti. L’individualismo è un lusso che noi non possiamo più permetterci.
Abbiamo visto la fabbrica fondersi con il territorio e che, no, non è vero, che le fabbriche e i luoghi di lavoro devono essere chiusi, lontano dagli occhi, isolati, separati tra loro.
Abbiamo visto che ogni giorno poteva essere l’ultimo e proprio per questo ogni giorno era chiamato a provare ad essere storia. Abbiamo quindi visto bandiere di brigate partigiane sventolare di fronte a striscioni di fabbrica. Abbiamo visto e sentito la Martinella suonare.
Abbiamo visto una comunità insorgere, solidarizzare, autorganizzarsi. Abbiamo visto gli studenti in fabbrica e picchetti operai di fronte alle scuole con gli studenti. Abbiamo visto una testuggine indefinita, eppure compatta, attraversare i viali di Firenze e dietro ancora un mare di solidarietà chiuso solo da un cartello: “Firenze città ribelle e mai doma”.
Abbiamo visto la potenza di quelli che nella società stanno in basso. Abbiamo visto la complicità impotente di quelli che stanno in alto.
Abbiamo visto che possiamo riappropriarci delle nostre parole, solidarietà, comunità, lotta. E che possiamo appropriarci anche delle loro: produzione, valore, piano industriale, eccellenza.
Abbiamo detto cosa andava fatto, anche quando era o sembrava impossibile. Abbiamo fatto tutto il possibile di quanto avevamo detto.
Abbiamo visto i pullman partire all’alba per arrivare a Roma, non una ma due volte, per reclamare una piazza unica, un’unica lotta: unica per tutte le vertenze, i precari, i disoccupati, i movimenti ambientalisti. Abbiamo visto che per insorgere era necessario convergere. E che non era possibile convergere senza insorgere.
Abbiamo visto scioperi generali considerati impossibili, scioperi generali considerati utopici, scioperi generali parziali, scioperi generali tardivi, scioperi generali insufficienti. Ma noi avevamo già visto tutto e per questo abbiamo detto che lo sciopero generale e generalizzato è necessario e che è un percorso, non un singolo atto.
Abbiamo visto e abbiamo guardato: guardato negli occhi un Governo, un fondo finanziario, i loro avvocati e, senza mai abbassare lo sguardo, abbiamo detto: noi siamo classe dirigente.
E abbiamo visto che c’è anche chi purtroppo ha ormai gli occhi completamente chiusi, chiusi dal pensiero debole, dall’autoreferenzialità, dalla testimonialità, dal minoritarismo, dall’opportunismo. Talmente chiusi da non riuscire più a vedere quello che noi abbiamo visto.
Ma ciò che abbiamo visto è un fatto. Per chiunque vorrà vederlo. Per chiunque vorrà capire.
Quanto abbiamo visto non capita di vederlo tutti i giorni e a volte nemmeno in tutta una vita. Eppure non abbiamo visto ancora nulla. Perchè abbiamo anche visto quanto manca ancora. Quanto siamo ancora lontani da quel che vorremmo, da quel che dovremmo essere, da quel che andrebbe fatto. Abbiamo visto quanto ancora siamo inadeguati, piccoli, deboli, divisi, fragili. Abbiamo visto quanta fatica ancora dovremo fare e chiedere. E quanto ancora dovremo tutti i giorni guardarci attorno e negli occhi per capire se siamo ancora in piedi.
E vi abbiamo visto in questi giorni scrutarci, guardarci e chiedere: quindi, è finita? Avete vinto? Smobilitate?
E per l’ennesima volta abbiamo visto che cercate una risposta, quando noi siamo prima di tutto una domanda: no per per noi non è finita, e per voi? Noi no, e voi? Voi smobilitate? Dove volete arrivare, dove ci portate di bello? Stupiteci. Portateci ancora in piazze piene ubriache di dignità. Dopo quello che abbiamo visto, non abbiamo più voglia di stare soli.
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