I Programmi di Lavoro Garantito: una necessità e una soluzione strategica

Il lavoro non può trasformarsi in forme di schiavitù antiche e moderne

Programmi di lavoro garantito

di Maria Luisa Visione

I dati sul rischio di povertà in Italia pubblicati recentemente dall’Eurostat sono raccapriccianti, ma non soltanto per l’entità, il numero a cui siamo arrivati nel 2021. Lo sono per ciò che raccontano da dietro le quinte, ovvero analizzando le cause e l’inefficienza di politiche sociali capaci di combattere davvero il fenomeno.

Riguarda 14,83 milioni di persone, considerando quelle a rischio di esclusione sociale: un quarto della popolazione che si affaccia ad un autunno e ad un inverno difficili, in una situazione sistemica complessa, in cui è soprattutto l’economia reale che soffrirà, cittadini e imprese. La causa principale di tale evoluzione, che ormai va avanti in maniera più accentuata da almeno 6 anni, è la mancanza di un reddito da lavoro dignitoso, dato che i “poveri veri” percepiscono un salario che è inferiore al 60% di quello medio disponibile.

Ora è diffusa l’informazione che i salari in Italia sono gli stessi da più di 20 anni e che, rispetto ad altri Paesi Europei, non si sono adeguati in termini di potere d’acquisto reale.

La prima domanda che sorge spontanea è: “Come si pensa di chiedere a quasi quindici milioni di persone che già si privano di necessità ordinarie di fare sacrifici, di risparmiare sull’utilizzo di beni energetici, alimentari, essenziali, non superflui?”.

Alcune misure in atto quali il sussidio di disoccupazione, il reddito di cittadinanza, i buoni spesa, i vari bonus fiscali, sono di certo un aiuto, se davvero raggiungono chi ne ha bisogno, ma di fronte ai dati sul rischio povertà, rabbrividiscono e dimostrano che non bastano.

Ad esempio, il reddito di cittadinanza diventa propaganda politica, quando, invece, a mio avviso, andrebbe analizzato a fondo per comprendere perché sia inefficiente, a partire dal reddito consegnato, visto che nel nucleo familiare single raggiunge a malapena i 500 euro.

Per analizzare la questione, cruciale, ripercorriamo insieme le caratteristiche di uno strumento di politica economica, il Piano di Lavoro Garantito, (PLG) che va nella direzione del raggiungimento della piena occupazione: uno strumento in linea con la nostra Costituzione e il diritto al lavoro, che dovrebbe essere garantito e non disatteso.

A parlarne, agli albori è stato Hyman Minsky, economista statunitense post-keynesiano.

La ragione per cui oggi possono diventare strategici risiede nel fatto che essi aumentano le opzioni di scegliere il lavoro, non il contrario. Vediamo perché.

I PLG, o DLUI (Datore di Lavoro di Ultima Istanza), sono programmi destinati a chiunque voglia lavorare; lo Stato offre un posto di lavoro stabilendo un salario minimo, che può essere rimodulato all’occorrenza, e alcuni benefits quali assistenza sanitaria, ferie, malattia, assistenza familiari a carico, e così via.

Il primo aspetto, fondamentale, legato al salario minimo è che l’obiettivo della sua misura non è né disincentivare il passaggio al lavoro privato, né tantomeno non remunerare adeguatamente le qualifiche e le competenze in dotazione della persona, il suo capitale umano, che è un valore da difendere. Da questo punto di vista, non è possibile stabilire salari minimi diversi, a seconda delle qualifiche professionali, perché il PLG è un programma temporaneo, di transizione, che deve consentire di non uscire dal mercato del lavoro, mantenendo attive nuove opportunità legate alle proprie competenze ed esperienze lavorative acquisite. Allo stesso tempo, la misura del salario minimo deve essere tale da garantire una qualità della vita dignitosa ed evitare che si crei concorrenza tra il settore pubblico e quello privato.

Ciò è possibile in quanto, se i datori di lavoro al di fuori dei PLG vogliono essere attrattivi, ed hanno bisogno di lavoratori, si renderanno disponibili a pagare un salario superiore, non inferiore, a quello uniforme di base dei PLG, senza sottrarsi al pacchetto benefits, che potremmo considerare come rete di protezione per i nuclei familiari vulnerabili e fragili. Il pacchetto di benefits deve essere approvato da un soggetto terzo, neutrale, nel caso degli Stati Uniti, è il Congresso.

Da questa prospettiva la permanenza nel PLG dovrebbe corrispondere a un vero e proprio stato di transizione in cui le persone lavorano, vengono formate e aggiornate, migliorando competenze ed esperienze acquisite, tramite un meccanismo di valorizzazione e di gratificazione del ruolo svolto. Non possiamo certo dire che non ci sia bisogno di lavoratori per rendere utile la spesa pubblica da destinare a ospedali, ponti, assestamento idrogeologico, scuole, ricerca…

Quindi, lo Stato offre lavoro, ma verifica e rende disponibili al pubblico i frutti di tale lavoro, tramite Report dedicati, dimostrando che non si tratta di assistenza o di beneficenza, ma di lavoro utile e retribuito.

Inoltre, il PLG accetta solo chi è disposto a lavorare e licenzia chi non si allinea, perché, diversamente, non può funzionare, senza termini “contrattuali” pattuiti e accettati dalle parti, come accade in un qualsiasi lavoro del settore pubblico o privato. In tale direzione la capacità dello Stato di mixare conoscenze, competenza ed esperienza del lavoratore alla mansione da svolgere è importantissima.

Altra domanda potrebbe essere: “Ma fino a quando lo Stato assume?”. È chiaro che raggiungere il 100% dell’occupazione non è possibile, per svariati motivi. La risposta di Warren Mosler, uno dei padri fondatori della MMT (Modern Monetary Theory) è che occorre flessibilità, a seconda del contesto e dello Stato, ma di certo con un posizionamento molto al di sotto del tasso di disoccupazione strutturale che è intorno al 10% stabilito dall’UE. Potrebbe essere fino a quando c’è qualcuno che è disposto a lavorare.

Dare la possibilità a chi vuole lavorare di farlo non è esente da azioni disciplinari se non si rispettano i termini lavorativi stabiliti, condivisi e sottoscritti. Naturalmente vigono i diritti inviolabili della nostra Costituzione legati al divieto di discriminare i lavoratori per qualsiasi motivo: razziale, religioso, di genere, di disabilità. Anzi i PLG possono migliorare le disuguaglianze sociali, perché rimane aperto il passaggio a un lavoro diverso e migliore, che il sistema diventa in grado di offrire, dato che la prima regola per avviare il circolo virtuoso della crescita economica è data dal reddito percepito e dai consumi.

Infine, secondo alcuni, Il PLG può agire come uno stabilizzatore automatico: il numero di occupati nel programma aumenta durante le recessioni (fase in cui si accetta di lavorare anche ad un salario che non corrisponde alle qualifiche, purché sia dignitoso) e si contrae nelle fasi di crescita economica, contrastando le fluttuazioni dell’occupazione nel settore privato. Di conseguenza, anche la spesa pubblica necessaria non è fissa ma è funzionale a un’economia di sviluppo che tende alla stabilizzazione dell’occupazione.

Confrontano il PLG con il reddito di cittadinanza appare evidente che la differenza sostanziale riguarda l’impostazione, perché lo stipendio è sempre la remunerazione del lavoro svolto nel PLG. C’è, poi, un altro elemento differenziale fondamentale ed è legato a non svalutare il salario del lavoratore e a evitare che chi lo percepisce si accontenti, o cerchi un altro lavoro a nero per raggiungere il reddito dignitoso, mentre altri sono sottopagati in chiaro, per svolgere le stesse mansioni.

Il PLG aumenta il livello di occupazione, non mette una toppa.

Le soluzioni esistono e richiedono che si torni ad orientare le politiche economiche e sociali con un intervento reale dello Stato per lo sviluppo del nostro Paese.

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2 Commenti

  1. Ma se fosse proprio la distruzione del lavoro uno dei mezzi per perseguire il totale controllo delle società?

    • La trasformazione del lavoro, il fordismo, il post-fordismo, la fabbrica etc etc, quindi la trasformazione è quello che stiamo vivendo ed è in generale come la catena di montaggio, alienazione compensata solo da un compulsivo gesto indirizzato al consumo. Quella vita, anche in bianco e nero, è un ricordo sempre più lontano. Disoccupazione, precariato e reddito di cittadinanza o universale sono gli elementi per la massa, qualcuno continuerà a lavorare nello Stato, nazionale, regionale e locale, poi crescerà sempre di più il terzo settore, già oggi chiamarlo terzo è un errore, sono oltre 500mila gli occupati ma vivono nell’incubo del precariato. Escludendo la pubblica amministrazione quante aziende in Italia hanno 500mila lavoratori?
      Il paese trema per la questione demografica e non sanno cosa fare, da un ultimo rapporto “Italiani all’estero” sono in maggioranza gli italiani scappati all’estero, rispetto agli stranieri presenti nel paese. La longevità ma non la qualità della vita, fa girare la testa agli esperti che “sorvegliano” il “sistema-pensioni”. Lo Stato vuole sostenere la produzione industriale pagando materie prime ricercando nei mercati mondiali più cari e questa è la più grande contraddizione per uno Stato, con queste scelte non si va da nessuna parte, anzi negli ultimi 10 ani abbiamo risalito e di molto la posizione come produttori e venditori di armamenti.
      Questi sono gli elementi che motivano il precariato, le proiezioni sono chiare, generazioni che non avranno più la possibilità di avere una pensione “contributiva” da lavoro.
      Si certo il lavoro diminuisce, la vita è più cara etc etc, questo tipo di società necessita solo di maggiore controllo sociale e lo stato di continua emergenza è uno degli strumenti.

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