di Davide Gionco.
Mentre gli italiani sono stati messi in quarantena per bloccare l’epidemia di coronavirus, il governo comincia a rendersi conto dei gravi contraccolpi economici che subirà il paese, mettendo sul piatto 25 miliardi di euro e facendo provvedimenti per bloccare i pagamenti delle tasse e delle rate sui mutui.
25 miliardi per 60 milioni di abitanti
fanno circa 416 euro a testa. Una cifra ridicola.
Impossibile calcolare ora quanto dovrà pagare il governo per questa crisi del
coronavirus, ma possiamo tentare di stabilire un ordine di grandezza.
Prima di tutto ci sono le spese vive relative alle cure delle persone malate:
assunzioni di nuovo personale, adeguamenti delle strutture ospedaliere, farmaci
e attrezzature. E tutta la macchina organizzativa per gestire l’emergenza. Buttiamo
lì una cifra? 10 miliardi di euro.
Ma la voce più importante sono le conseguenze economiche.
Lo Stato ha bloccato gli adempimenti fiscali e previdenziali, ma dovrà comunque
garantire il pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici e delle pensioni.
E questo significa che dovrà trovare altrove il denaro necessario.
Lo Stato incassa entrate tributarie per circa 600 miliardi l’anno. Uno stop di
2 mesi significa 100 miliardi in meno di entrate. Gli incassi previdenziali
dell’INPS sono di circa 200 miliardi l’anno. Uno stop di 2 mesi significa 33
miliardi di ammanco.
Il blocco dei pagamenti delle rate dei mutui. L’ammontare dei crediti bancari
in Italia alle famiglie è di circa 550 miliardi. Supponendo che si tratti di
mutui a 20 anni, 2 mesi di stop significano un ammanco per le banche di circa 5
miliardi. I crediti alle imprese sono di circa 650 miliardi. Supponendo che si
tratti di mutui a 5 anni, significa per le banche un ammanco di circa 21
miliardi. Sono cifre per cui le banche presenteranno il conto al governo, senza
ombra di dubbio.
Ma i danni economici maggiori sono
quelli causati dal blocco delle attività economiche, causando mancanza di
produzione di beni e servizi e mancanza di incassi. Dato che ogni mese le
imprese devono pagare gli stipendi, gli affitti e tutte le spese fisse, questo
stop alla produzione economica potrebbe portare molto rapidamente al fallimento
di centinaia di migliaia di piccole e medie imprese.
Imprese che non saranno in grado, neanche successivamente, di fare fronte agli
impegni fiscali, contributivi, con le banche e con i loro fornitori.
La quarantena dei lavoratori colpisce direttamente le imprese riducendo la loro
capacità produttiva, ma la quarantena di tutti i cittadini riduce tutti gli
acquisti di beni e servizi non necessari.
Il settore del turismo sarà fortemente colpito anche nei prossimi mesi, dato
che molti lavoratori sono stati messi forzatamente in ferie ora (a casa) e non
potranno andare in vacanza la prossima estate. Anche perché non è da escludere
che le scuole restino aperte fino al mese di luglio.
Molto difficile quantificare i danni, ma l’ordine di grandezza è di un mese di
Prodotto Interno Lordo perso per quest’anno 2020. Con un PIL di 1800 miliardi
significa una perdita di 150 miliardi, a cui lo stato dovrà fare fronte, se non
vuole ritrovarsi da qui a 2 mesi con altri 2-3-4 milioni di disoccupati, oltre
ai milioni che già abbiamo a motivo della crisi economica da cui non siamo mai
usciti dal 2008 ad oggi.
Sommando le varie cifre riportate arriviamo ad un conto di 309 miliardi di
euro, ma è verosimile attendersi cifre dell’ordine di 400-450 miliardi di euro
necessari per evitare il crollo della nostra economia nazionale.
Non a caso la Germania ha annunciato ieri un piano straordinario da 550
miliardi di euro per fare fronte alla crisi economica del coronavirus. E non a
caso qualche giorno fa l’economista Ashoka Moody stimava a 500-700 miliardi il
“firewall finanziario” per evitare il tracollo dell’economia italiana, che
trascinerebbe con sé l’intera economia mondiale.
Il nostro governo, che per il momento ha ottenuto dalla UE il permesso di aumentare il debito di soli 25 miliardi di euro a fronte di danni quantificabili a 450 miliardi, dimostra di non avere la minima idea di quello che ci attende e di come affrontare la situazione.
La prima questione fondamentale è: dove
troviamo tutti questi soldi?
La risposta è difficile per una classe politica (e relativi consulenti
economici) abituata a fare manovre finanziarie dell’ordine di 25-30 miliardi di
euro, mentre ci serve denaro per 15 volte tanto.
La Banca Centrale Europea, con Cristine Lagarde, ha già fatto sapere che non è suo compito finanziare i governi. E la colpa non è di Cristine Lagarde, ma dei trattati europei, firmati anche dall’Italia, che hanno inserito nello statuto della BCE il preciso divieto di finanziare direttamente gli Stati.
La soluzione di finanziamento classica è quella di emettere dei titoli di stato, indebitandoci con i mercati. Ma una immissione di 450 miliardi porterebbe ad avere un debito di 2850 miliardi e, considerando che il PIL diminuirà a 1650 miliardi, ad un rapporto debito/PIL del 172%. Stanti gli attuali parametri europei l’Italia dovrebbe impegnarsi a riportare in 20 anni questo rapporto al 60% del PIL ovvero a fare un attivo di bilancio primario del 5.6% del PIL ogni anno, sottraendo alle imprese ed alle famiglie italiane già colpite dalla crisi al netto 100 miliardi l’anno. Il che significherebbe una crisi economica perpetua.
L’economista Ashoka Moody propone di
realizzare una cordata internazionale (FMI, banche estere) per mettere insieme
i 500-700 miliardi da prestare all’Italia. Per noi significherebbe contrarre un
alto debito estero che potrebbe diventare impagabile, come quelli dei paesi del
Terzo Mondo.
E soprattutto Ashoka Moody non tiene conto del fatto che molte altre nazioni si
troveranno nella stessa situazione dell’Italia, per cui l’ammontare dei
finanziamenti internazionali potrebbe essere di 10-20 volte tanto. Per nulla
evidente che vengano reperiti.
Incredibilmente una soluzione di viene
dalla Germania, dove ieri il ministro delle finanze Olaf Scholz ha annunciato
che i 550 miliardi predisposti di prestiti agevolati a lungo termine per fare
fronte alla crisi economica del coronavirus, “questione di vita o di morte”,
verranno creati dalla KFW, la banca pubblica che attualmente opera a sostegno
delle imprese. Come se fosse la nostra cassa depositi e Prestiti.
La KFW, come la Cassa Depositi e Prestiti, non regalano il denaro, ma lo
prestano. Tuttavia se il prestito di 550 miliardi avviene a tasso zero e se si
prevede un tempo di rimborso di 30 anni, la rata da “restituire” diventa di
soli 18 miliardi di euro l’anno, una bazzecola (lo 0.5%) per una economia che
vale 3400 miliardi di euro l’anno.
Questo annuncio della Germania pone fine a decenni di politiche di austerità in
Europa e forse ad un cambio di paradigma economico. Questo video presenta un quadro chiaro della
situazione.
In alternativa abbiamo una soluzione “nostrana”. Gli onorevoli Pino Cabras ed Elio Lannutti hanno recentemente presentato in Parlamento la proposta di legge per l’istituzione dei Certificati di Compensazione Fiscale. In questo caso non si tratterebbe più di prestiti in euro, ma di una vera e propria forma di moneta parallela all’euro, ad uso nazionale, che potrebbe essere usata per finanziare buona parte degli interventi pubblici per evitare la crisi economica. Sarebbe una forma di denaro che non indebita nessuno con nessuno: lo Stato dà contributi a fondo perduto in CCF, famiglie ed imprese lo usano per le proprie necessità come se fossero euro e, gradualmente, li restituiranno allo Stato quando pagheranno le tasse negli anni a venire.
Un’ultima soluzione potrebbe essere il
ritorno alla piena sovranità monetaria, sempre che le forze politiche di
governo siano convinte a farlo. In questo caso basterebbe utilizzare la Banca
d’Italia o un nuovo dipartimento del Tesoro per emettere delle neo-lire, le
quali circolerebbero parallelamente all’euro. Lo Stato pagherebbe dipendenti e
fornitori solo in lire ed accetterebbe pagamenti in euro e in lire. Imprese e
famiglie potranno regolare i loro pagamenti in euro o in lire.
Le neo-lire potrebbero essere emesse come “moneta positiva” ovvero senza
generare debito, come fa oggi la BCE con gli euro. In questo modo lo Stato
potrebbe finanziarsi senza contrarre debiti con alcuno, mettendo in
circolazione il nuovo denaro tramite la spesa pubblica, a beneficio di
cittadini e imprese.
Questa soluzione è decisamente migliore di quella proposta da Ashoka Moody e di
quella proposta dai Tedeschi, dato che si tratterebbe di ri-finanziare
l’economia reale per fare fronte alla crisi economica del coronavirus, senza
generare un ulteriore indebitamento dello Stato o delle imprese o delle
famiglie. Questo è importante, perché nell’attuale situazione nessuno è in
grado di garantire che quel debito verrebbe restituito. Per questo è meglio che
la nuova moneta sia “regalata” per fare fronte alla crisi economica e non
“prestata”.
E se qualche sedicente economista paventasse il pericolo di generare una eccesiva inflazione con queste immissioni di denaro, rispondiamo che si tratta solo di compensare le perdite causate dalla crisi economica, per cui non si andrebbe ad aumentare la capacità di spesa delle famiglie, spingendole a fare acquisti folli che spingono sui prezzi. Lo scopo è di evitare il crollo degli acquisti e crisi economica conseguente.
Risolto il problema di come reperire i
450 miliardi di euro per salvare l’Italia, facciamo una proposta sulle modalità
di distribuzione di questi fondi.
Un generico “helicopter money” rischierebbe di non dare abbastanza denaro ai
soggetti maggiormente colpiti dalla crisi economica e di darne troppo a chi non
ne avrebbe bisogno.
Nello stesso tempo non c’è tempo di mettersi ad analizzare chi ha più bisogno e
meno bisogno, perché molte imprese rischiano di fallire da qui a 1-2 mesi. Non
è pensabile che lo Stato prometta ora dei fondi per poi erogarli fra un anno o
anche solo 6 mesi, perché le imprese falliscono prima.
I pagamenti devono avvenire subito.
Anziché bloccare i pagamenti delle rate dei mutui, delle bollette, eccetera, senza arrivare comunque a bloccare tutte le spese fisse che un’impresa deve sostenere, sarebbe molto meglio che lo Stato costituisse un fondo per pagare ogni mese a ciascuna impresa e persona colpita dalla crisi gli stessi incassi mediamente percepiti nel corso del 2019.
Ad esempio una piccola impresa che
abbia avuto un fatturato di 1’200’000 euro riceverebbe ogni mese dallo Stato un
contributo di 100’000 euro.
Le tasse al contrario! Lo stato che paga le imprese.
L’impresa utilizzerà quel contributo per fare fronte alle spese fisse non
procrastinabili, pagando fornitori e stipendi.
In questo modo nessuno subirà dei contraccolpi economici, né i dipendenti, né i
fornitori.
I lavoratori dipendenti potranno andare regolarmente in vacanza la prossima
estate, senza creare danni al settore del turismo.
Gli operatori del turismo non falliranno, anche se dall’estero verranno molti
meno turisti.
Il patto di lealtà fra Stato e imprese deve essere: io Stato ti compenso le tue
perdite, ma tu ti impegni a riavviare la tua produzione per tutto quanto ti è
possibile.
Dopo alcuni mesi, quando la crisi sarà finita e la situazione stabilizzata,
sarà possibile mette a punto degli strumenti di verifica puntuale della
situazione vissuta da ogni impresa e dei danni realmente subiti a motivo della
crisi economica.
A quel punto il denaro ricevuto in eccesso dovrà essere restituito, mentre
quello utilizzato per fare fronte ai contraccolpi della crisi economica resterà
concesso a fondo perduto.
Per quanto riguarda gli importi da
erogare, è d’obbligo chiedersi, finalmente, se gli stimoli all’economia debbano
riguardare solo i mesi della crisi del coronavirus e non anche i precedenti 20
anni di crisi economica causati dall’introduzione dell’euro e dall’adozione
delle folli politiche di austerità imposte dall’Unione Europea.
Questo grafico mostra chiaramente come fra il 1998 e il 2020 il prodotto
interno lordo pro capite in Italia sia rimasto sostanzialmente costante, mentre
nel resto dell’Europa è cresciuto.
Questo significa che si potrebbe cogliere l’occasione per immettere nell’economia non solo i fondi per bloccare la crisi del coronavirus, ma anche dei fondi aggiuntivi, magari dell’ordine di 100 miliardi di euro, di investimenti pubblici per rilanciare l’economia del paese. Il tutto utilizzando gli stessi meccanismi di finanziamento sopra descritti.
Come dicono i cinesi, una crisi
economica è un momento cruciale che può essere trasformato in una opportunità.
L’opportunità è quella di modificare radicalmente i meccanismi di finanziamento
della spesa pubblica, rendendola uno strumento per lo sviluppo economico del
paese e non una zavorra che porta al fallimento delle nostre imprese.
Il coronavirus ha accelerato un processo di crisi economica già in corso, di
cui troppi politici non si rendevano conto (secondo l’esperimento della “rana
bollita”). L’accelerazione ha reso evidenti tutti i gravi limiti dell’attuale
sistema di finanziamento della spesa pubblica, che non deve essere basato sulla
raccolta fiscale, ma sulla emissione di nuova moneta.
Ora non abbiamo alternative, come
dicono i tedeschi. E’ una questione di vita o di morte.
O riformiamo la finanza pubblica, con lo Stato che crea da sé il denaro che
gli occorre senza indebitarsi con nessuno e che, naturalmente, lo investe
in modo responsabile, riducendo il carico fiscale per famiglie e imprese a
livelli sostenibili (non gli attuali dell’Italia) e facendo investimenti
pubblici per la crescita del paese.
O, in alternativa, siamo un paese finito e destinato all’autodistruzione.
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