La forza dell’Italia nella sua debolezza un falso ossimoro

Un catalogo di scelte fino a ieri politicamente o tecnicamente impraticabili per affrontare i guai dell’economia e della politica. E' tempo di agire.

di Alberto Bradanini.

Rahm Emanuel, capo dello staff di Barak Obama, affermava nel 2008 che “occorre evitare che una grave crisi vada sprecata. Essa offre l’opportunità per fare cose che prima non si potevano fare”. Non è un’immagine originale, va detto. Alcuni anni prima l’illustre monetarista della scuola di Chicago, Milton Friedman, aveva rilevato che “le alternative alle politiche esistenti vanno conservate, perché a un certo punto il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile”

Davanti a una scena nebulosa, sia per la futura convivenza con il virus sia per il destino della nostra economia, ecco prendere corpo un catalogo di scelte fino a ieri politicamente o tecnicamente impraticabili e affrontare i guai dell’economia e della politica. 

Il luogo dove il Paese reputa di trovare un’illusoria soluzione alle sue pene non è situato sul nostro territorio tuttavia, ma nella cosiddetta Unione Europea (il termine Unione merita la sottolineatura), poiché a tale tecnostruttura il ceto politico-finanziario italiano ha incautamente consegnato nei decenni scorsi una preziosa quantità di democrazia istituzionale e di autonomia monetaria. Non solo, poiché sin dagli anni ’50 del secolo scorso, sedotta dalla fiaba infantile degli Stati Uniti d’Europa, un’Italia dimessa ha devoluto l’iniziativa politica ai paesi europei dominanti, Germania e Francia, nella rinuncia a disegnare una progettualità centrata su legittimi interessi nazionali. 

Il primo gigantesco deficit che investe la cosiddetta Unione Europea (Ue) è il deficit di democrazia. Gli organismi europei che anche oggi decidono del nostro futuro non rispondono a sufficienza al principio democratico. Si dirà, ma com’è possibile? Eppure, è così. L’Ue è un’istituzione tecnocratica, priva di un governo responsabile davanti a un parlamento, amministrata da funzionari non eletti, la cui carriera e stipendi stellari sono auto-referenti verso una tecnostruttura a carriere chiuse che risponde a un coacervo di norme europee, un labirinto fabbricato per nascondere significati giuridici e obiettivi politici, al quale i sudditi europei sono chiamati a obbedire senza capire. 

Secondo i principi dell’analisi strutturale è il dominio del capitale finanziario sottostante che ha voluto questo neo-costituzionalismo tecnocratico che impone politiche anti-sociali tramite organismi usurpatori: una Banca Centrale Europea, veicolo di trasferimento di ricchezza pubblica a banche private, di cui media asserviti e governi improvvisati continuano irresponsabilmente a difendere l’indipendenza; una Commissione Europea di funzionari telediretti che non rispondono ad alcun elettorato; un finto Parlamento privo di quel potere che in ogni democrazia ne caratterizza l’essenza, il potere di iniziativa legislativa. Basti rilevare che la legge più importante approvata ogni anno dal Parlamento italiano, la legge finanziaria, deve essere sottoposta al via libera della Commissione Europea prima di essere discussa e approvata in sede nazionale.

Ciò che sorprende di tale crudele scenario è l’offuscamento della ragione del nostro ceto dirigente, il quale – per entrare nel merito della contingenza odierna – non ha coscienza che ciò che appare debolezza è in realtà una forza straordinaria e che il nostro Paese, a prima vista impotente e alla mercé del direttorio europeo, possiede invero la forza di un ariete capace di scardinare ogni resistenza. È la consapevolezza, beninteso, a far la differenza. 

Un pensiero taoista ci ricorda che gli esseri umani utilizzano le parole per descrivere la vita e la realtà, ma la vita e la realtà si trovano altrove. Se l’eurozona dovesse implodere, i primi a pagarne le conseguenze sarebbero la Germania e altri paesi del Nord, non l’Italia la quale invece, dopo un gestibile shock iniziale e checché ne dicano gli economisti di mainstream, vedrebbe la sua economia tornare a crescere come ai tempi gloriosi della lira.

Possiamo anticipare senza pericolo di smentita che Germania e satelliti – i quali sconterebbero in tal caso la giusta condanna per gli abusi di potere e i pregressi vantaggi indebiti – farebbero di tutto per evitare l’implosione dell’eurozona, strumento da essi stessi concepito per rendere perpetui tali abusi. 

Per raccogliere i frutti di tale preziosa occasione l’Italia è però chiamata ad affrontare tre ordini di problemi: a) di metodo; b) di contenuto; c) di strategia.

Metodo: qualcuno nel governo, o non so dove, dovrebbe innanzitutto sollevare la domanda  fondamentale che riguarda l’etimologia politico-filosofica dell’appartenenza alla cosiddetta Unione Europea (enfasi su Unione), acquisendo il pensiero delle oligarchie nordiche sulla reale natura dei rapporti che legano tra loro i paesi membri. Se la strada della Federazione Europea non è percorribile – nemmeno per un istante infatti i paesi dominanti, Germania e Francia, l’hanno mai inclusa nel loro radar politico, lasciando agli sprovveduti politici italiani di fantasticarvi sopra come in un film di fantascienza – allora, seppur tardivamente, occorre prenderne atto. Resteremo amici ma, seguendo il lessico corrente del Covid-19, mantenendo un’igienica distanza sociale. Se invece Berlino e Parigi accettassero di smentire trent’anni di politiche predatorie, allora si potrebbe disegnare insieme un futuro diverso, questa volta però seduti al tavolo del negoziato con pari dignità

Davanti al dramma di un Paese allo stremo, due posture andrebbero tuttavia evitate, l’inerzia e l’accettazione dello stato permanente di servitù: sarebbe un crimine ai danni del popolo italiano e alla memoria della sua storia passata. 

L’ideale per l’oligarchia tedesca è che tutto resti com’è, perché l’attuale assetto monetario-istituzionale porta benefici incommensurabili alla finanza teutonica, a sua volta prona a quella mondialista che mira al saccheggio delle residue ricchezze di paesi gregari come l’Italia, in passato quelle pubbliche, ora anche quelle private. 

La limpida logica di tale palcoscenico viene quotidianamente oscurata sui mezzi di dis-informazione di massa (grandi TV pubbliche e private, giornalisti turibolari), dove ad esempio si evoca con umiliante frequenza la religiosa nozione di solidarietà umana, come se l’Italia dovesse mendicare un pasto immeritato alla mensa della Caritas. I sentimenti sono riserva delle anime immacolate che vivono nei conventi, la politica è più spietata. W. Churchill affermava che per una nazione non esistono amici eterni, ma solo interessi eterni. Nel rispetto della legge della giungla, la legislazione della cosiddetta Unione Europea stabilisce infatti che l’economia deve rispettare il principio di un’elevata competitività (art. 3, comma 3, del Trattato sull’Unione Europea), non certo i valori eterei della solidarietà, come abbiamo anche constatato nelle scorse settimane, quando i paesi amici dell’Unione ci sequestravano persino le mascherine in transito. 

Contenuto. L’economia italiana era in pesante affanno anche prima del virus: deindustrializzazione, domanda interna asfittica, scarsa produttività e competitività, disoccupazione e precarietà, fragilità industriale e soprattutto il peccato genetico, una moneta nazionale governata da entità extranazionali a tutela di interessi altrui.

L’esito della riunione dei Capi di Stato e di Governo Ue del 23 aprile scorso ha confermato che il fondo di ricostruzione, che la Commissione Europea è stata incaricata di mettere urgentemente a punto entro il 9 maggio, ha tutte le caratteristiche di un prestito più o meno camuffato, a tassi d’interesse forse minori di quelli di mercato, un prestito che tuttavia prima o poi andrà restituito. Ulteriore debito dunque. Tale orientamento andrebbe oggi valutato nelle sue implicazioni politiche teleologiche, assai più che per le sue dolorose ripercussioni tecniche immediateLe opzioni sul tavolo prevedono tutte, sembra ormai chiaro, ulteriore debito (dopo aver scartato gli eurobond/coronabond, restano il Mes, il fondo di ricostruzione, Sure e Bei), alcune persino con le funeste condizionalità alla greca. Esse consegneranno definitivamente l’Italia alla speculazione internazionale che punta ai 4mila miliardi di euro di ricchezza privata degli italiani e alla colonizzazione permanente della Penisola. 

Ora, poiché il debito pubblico, diversamente da quanto alcuni ritengono, non deve essere pagato – nessun paese al mondo l’ha mai fatto, al massimo ha pagato gli interessi su di esso – e poiché il denaro si produce oggi a costo zero e in quantità illimitate la soluzione principe sarebbe a portata di mano: Bce potrebbe finanziare senza costi per nessuno, nemmeno per l’insaziabile oligarchia tedesca, imprese e cittadini europei a rischio di sopravvivenza. Se ciò non avviene – alcuni diranno che le norme non lo consentono, che la Germania non è ancora pronta a tale passaggio epocale, che cambiare i Trattati non sarebbe possibile – ne va indagata ancora una volta la ragione politica.

Dal punto di vista italiano, si distende come un’ombra al tramonto l’ontologica subordinazione della nostra classe dirigente a ogni decisione delle istituzioni Ue guidate dai paesi dominanti (nel caso attuale, vale la pena ricordare che la Presidente della Commissione Europea è stata ministra della difesa del governo Merkel sino a pochi mesi orsono). Anche in questa occasione, il rappresentante dell’Italia – afono davanti al dovere di tutelare interessi strutturali del Paese – ha accettato senza protestare lo scadente menu della casa. L’assetto fondativo dell’Ue – a suo tempo disegnato fin nei minimi particolari da Germania e Francia (la realpolitik del Regno Unito si occupava solo di pareggiare il dare e avere, senza alcun investimento sul futuro politico di un’Unione alla quale non ha mai prestato fede) – dovrebbe restare immutato in aeternum e sempre al servizio del re di Prussia. Nella mente del nostro ceto dirigente – solo in apparenza diviso tra destra e sinistra ed equamente sostenuto da un sistema mediatico incorporato – l’Unione Europea è oggi una vera e propria religione, confermando il pensiero di un grande scienziato del secolo scorso, secondo il quale è più facile scindere un atomo che abolire un pre-giudizio. Carriere politiche e circuiti mediatici/accademici di potere impediscono alle voci dissonanti, che pur ci sono, di acquisire visibilità e di aiutarci a disegnare orizzonti innovativi praticabili.

Ciononostante, la strada di una possibile palingenesi non è sbarrata dal cemento armato, tenendo a mente che il mondo rimane una tragica arena a causa dell’inerzia dei giusti, più ancora che per i delitti degli stolti. Inoltre, come recitavano i nostri nonni, tutti i nodi prima o poi vengono al pettine: quella che oggi appare una vittoria dell’ingordigia teutonica e dell’inettitudine italiana potrebbe rivelarsi un fatale errore. I bisogni del popoli potrebbero tornare protagonisti tra pochi mesi davanti alla disperazione e al degrado sociale. Vedremo. 

Strategia. Esiste una narrativa occulta, un’ermeneutica strumentale sepolta sotto la cenere secondo la quale il destino europeo dell’Italia sarebbe immodificabile. Poiché un giorno passato il Paese ha aderito a questa Unione Europea e a questa moneta comune, il percorso si sarebbe compiuto, la discussione sarebbe chiusa. L’antidemocratica struttura istituzionale e l’assetto monetario predatorio dell’eurozona, da noi incautamente sottoscritti un giorno ormai lontano, vanno onorati così come sono in saecula saeculorum: Amen! 

I diversi partiti politici, diversi a parole ma eguali nell’azione, riveriti da un giornalismo variegato eppure ingabbiato nel pensiero unico, da sedicenti centri di ricerca nutriti di soldi pubblici e parapubblici, da riserve della Repubblica beneficiarie di emolumenti euronici e da carriere politiche eterodirette sono tutti iscritti al partito di TINA (there is not alternative). Tutti affermano, alcuni persino senza proferir parole, che il destino dell’Italia è scolpito nel libro della storia. Eppure questa non sembra finire con il Mes o con l’Eurogruppo, ricca com’è di una galassia infinita di orizzonti: il futuro, affermava Lao Tze, dipende solo da noi, individui del tempo presente, dal momento che il cielo e la terra sono indifferenti al destino dell’uomo

Quella postura minimalista nega insieme la storicità dell’uomo e il valore dell’esperienza umana, dove la contraddizione tra pensiero, realtà e divenire rende la vita una straordinaria sfida quotidiana per ampliare la conoscenza e migliorare la qualità del vivere. Le dinamiche tra forze economiche, i rapporti di forza tra chi domina e chi è sottomesso, le contrapposizioni di un mondo in perenne ebollizione, tutto verrebbe cancellato dalla staticità di presunte scelte irreversibili. 

Se è problematico sapere cosa sia la verità, è però più facile riconoscere una falsità, tenendo a mente le parole di un grande scienziato tedesco, che anche un buon trucco non funziona altrettanto bene la seconda volta. La domanda che occorre porsi è dunque la seguente: con quali inganni un ceto dirigente riesce a vivere e prosperare davanti all’esecrazione di un popolo colpito da tali dolorose calamità. Nella presunzione che ad esso non facciano difetto strumenti intellettuali per comprendere gli accadimenti di cui siamo testimoni, occorrerà allora indagare le dinamiche sottostanti che impongono scelte distruttive del bene di tutti e insieme la rinuncia a battersi per una diversa struttura euronica oggi palesemente sbilanciata ai nostri danni. Cercheremo di affrontare tale domanda nel prossimo capitolo.

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